Dal Po al Danubio superando fiumi e valli

Realizzare vie di comunicazione nelle Alpi non è stato facile né sempre possibile]

Agli inizi del Duecento, il monaco Albertus – formatosi nel nord Europa dove poi sarà abate del monastero benedettino di Santa Maria in Stade in Bassa Sassonia – affronta un pellegrinaggio che lo porta a Roma del quale lascia traccia scritta. Tra le vie affrontate per valicare le Alpi sulla via del ritorno egli indica due possibilità: la prima – che sconsiglia per la cattiva situazione ospitaliera (mala hospitia) – segue il fiume Piave fino alle sorgenti e la val Pusteria, l’altra – migliore e raccomandata – è per vallem Tarentinam

Lasciata la città e seguendo la via maestra, il viaggiatore avrebbe incontrato, trovando possibilità di sosta, Novum Forum (Neumarkt/Egna, nome del borgo mercantile istituito nel 1189 dal vescovo Corrado di Trento) distante da Trento 25 miglia (37 km circa), poi – dopo altre 15 miglia – Botzen/Bolzano e quindi nell’ordine Clausam/Chiusa, Brixiam/Bressanone, Stercinge/Sterzing (Vipiteno) e, subito dopo il passo del Brennero, Materel, l’odierna Matrei.

Gli stessi punti li avrebbe incontrati mille anni prima chi – dopo aver consultato uno degli itineraria a disposizione – si fosse indirizzato verso la frontiera dell’alto Danubio e del Reno. Riprova di come le strade maestre del medioevo fossero ancora quelle progettate e realizzate dal mondo romano, tecnologicamente avanzato e che ebbe tra i punti di forza proprio un efficiente sistema di comunicazioni capace di assicurare indiscussi vantaggi politici, amministrativi ed economici.

Realizzarle nelle Alpi non è stato facile né sempre è stato possibile. E proprio nella valle dell’Adige, le difficoltà e gli ostacoli incontrati sono stati tali da emergere come una vittoria sulla natura stessa con cui l’impresa è stata celebrata. Un elogio rivolto all’imperatore Claudio nell’anno 46 d.C. e unica testimonianza scritta che ci permette di conoscere il nome della via per prima ad essere tracciata attraverso la regione verso le regioni d’Oltrape, il suo committente e patrono finali, l’anno in cui è stata conclusa (serviranno oltre sessant’anni a Roma per completarla e migliaia di uomini, per lo più reclutati sul percorso), la lunghezza complessiva tra i due capisaldi, oltre 500 km dal Po al Danubio dei quali quasi 1/3 nel territorio regionale di Trento e Bolzano.

A rivelarlo dal profondo della storia è una monumentale colonna in marmo di Lasa (impropriamente definita un miliare) rinvenuta a metà Cinquecento nei pressi di Parcines/Merano. In maniera molto mirata era stata collocata in corrispondenza di quello che è stato il limite dell’Italia romana e del municipium di Trento, che ne costituiva il saliente, splendido come ebbe a definirlo il medesimo imperatore.

Via che da Claudio prese il nome dopo che – si legge nell’iscrizione – il padre Druso per primo sessant’anni prima la tracciò, aperte (letteralmente “spalancate”) le Alpi con la forza e portando ad unire di fatto due differentissimi universi come erano (allora) l’Italia affacciata sul mare Adriatico e le regioni mitteleuropee. Due capisaldi che epicamente l’inquadrano nella storia e che restano duraturi anche quando, persa la validità del primo tracciato, questa strada maestra alpina fu sostituita da una via più breve e agevole lungo la val d’Isarco e il Brennero, costellata di miliari imperiali e che, nel ruolo di principale via di comunicazione tra Italia e Germania (Kaiserstrasse) nel 1027 l’imperatore Enrico II affidò alla custodia e alla vigilanza dei vescovi diocesani. Prima carrozzabile delle Alpi in età moderna, fiancheggiata dalla linea ferroviaria (completata nel 1870) e infine potenziata dall’autostrada A22, un secolo più tardi.

Della rapidità degli spostamenti che questa strada rese possibile già pochi anni dopo il suo primo tracciato, è testimonianza un episodio che ha come protagonista Tiberio, figlio adottivo di Augusto e suo successore.

Da Pavia – velut uno spiritu (quasi d’un fiato) come scrive il biografo – egli raggiunse il fratello Druso, che giaceva ammalato in Germania percorrendo “…più di duecento miglia [quasi 300 km

in un giorno e una notte, attraversando le Alpi e il Reno e cambiando in continuazione cavallo in un territorio barbaro e appena domato…”. Velocità eccezionale di certo favorita dal rango e dall’assistenza data al personaggio, membro della casa imperiale. Ma anche ai privati era consentito usufruire a pagamento delle medesime condizioni servendosi di quelle che erano delle vere e proprie stazioni di servizio dell’epoca, disseminate a distanza regolare lungo il tracciato. Poteva trattarsi di semplici luoghi di sosta e di cambio dei cavalli (stationes et mutatines) oppure di nuclei più ampi e articolati (mansiones) dove locande, stalle e magazzini consentivano di pernottare, lavarsi, rifornirsi di provviste, trovare guide e portatori, depositare merci, rifocillare gli animali da tiro e i cavalli o cambiarli con bestie riposate.

Il tratto atesino principale contava diversi di questi luoghi e di alcuni di essi è rimasta anche traccia archeologica, come a Egna dove i resti di vari edifici e un tratto di strada sterrata che componevano la mansio di Endidae sono ancora visibili dopo la scoperta, in un piccolo antiquarium a lato dell’attuale Kahnstrasse. A sostituirli nel medioevo ospizi ed ospedali: sedici in totale tra Ala e Vipiteno.

Enrico Cavada

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