“Ma i poveri sono fuori dai Giochi”

“Il Brasile vive una crisi etico-morale e paga la corruzione diffusa”

“Sono stati fatti enormi investimenti per stadi e impianti sportivi, strutture che poi, terminato l’evento, sono destinate all’abbandono, mentre negli ospedali e nelle scuole pubbliche mancano ancora servizi e strumenti essenziali”. Dom Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho nello Stato di Rondonia in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia, e presidente del Consiglio indigenista missionario della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), sollecitato ai microfoni di Trentino inBlu a pochi giorni dall’inaugurazione dei Giochi olimpici di Rio de Janeiro, non si sottrae alle domane. Di passaggio in Trentino per una visita di amicizia al vescovo Lauro Tisi – con il quale il 29 giugno scorso in Vaticano ha condiviso la benedizione del pallio ai nuovi vescovi metropoliti –, il vescovo brasiliano offre alcuni elementi per capire meglio la situazione del Paese sudamericano. “Si sta investendo parecchio in pubblicità – spiega dom Paloschi –, ma sono poche le risorse per la salute pubblica, i trasporti, il diritto all’educazione, la sicurezza”.

Sulle Olimpiadi di Rio pesano le inchieste sulla corruzione – è di questi giorni la notizia del rinvio a giudizio dell’ex presidente Lula -, la procedura di impeachment per la presidente Dilma Rousseff, la crisi economico-sociale. “Il Brasile vive una crisi etico-morale – aggiunge dom Paloschi – e paga la corruzione diffusa, che ha provocato una congiuntura economica pesante, che si riflette poi nella crescita della disoccupazione e nell’inflazione. Il ‘golpe istituzionale’ prima di tutto è stato un golpe contro i diritti dei popoli indigeni e delle fasce più deboli del Paese”.

Per dom Roque Paloschi i Giochi olimpici da sempre rappresentano un’occasione di confronto e di integrazione fra popoli e culture diverse. Tuttavia rivelano pure quali sono “i Paesi meglio nutriti sul pianeta”. “Lo sport dovrebbe essere uno straordinario motore per creare confronto, coesione sociale e abbattere i confini – aggiunge –, purtroppo in Brasile prevale un modello economico fondato sulla speculazione delle materie prime per l’esportazione, l’agrobusiness a scapito dell’agricoltura familiare, mega progetti minerari e idroelettrici che rispondono agli interessi delle multinazionali. I vantaggi restano nelle mani di pochi, è un’economia ingiusta che esclude. C’è estremo bisogno di investire nel bene comune e nel capitale umano”. Tale modello economico si ripercuote sulle comunità indigene, su contadine, pescatori e quilobolas (i discendenti degli schiavi africani). “I grandi progetti idroelettrici non sono pensati per le comunità locali e per i territori – spiega dom Paloschi –, rispondono alla logica di crescita macroeconomia, provocano disuguaglianza sociale e danni ambientali, molti dei quali irreversibili”.

La Chiesa brasiliana è da sempre schierata con coraggio a fianco degli indigeni. “In difesa del diritto alla terra negato, un diritto riconosciuto dalla Costituzione del 1988 – rimarca –, in difesa della dignità e della ricchezza culturale dei popoli amazzonici, capaci di convivere in armonia e profonda spiritualità con la Madre Terra, i fiumi, le foreste, indicandoci un cammino di recupero di umanità nel rispetto del Creato al quale apparteniamo”.

In chiusura della sua chiacchiarata a radio Trentino inBlu, il vescovo Paloschi ha fatto cenno al tema della sicurezza e del terrorismo dilagante nel mondo. “Bisogna vincere l’odio con la misericordia, costruire ponti e collaborare perché ci sia giustizia e dignità per tutti. Povertà, emarginazione sociale, iniquità sono un terreno fertile per la violenza”. “Non dobbiamo avere paura – ha concluso -: l’umanità mostra molti segni di speranza e di solidarietà, deve perserverare nel cammino della pace e della fraternità”.

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