“Non è la squadra dei sogni, ma il sogno di una squadra”

Il CUS Basket Trento è la prima squadra di pallacanestro, in Italia, composta da richiedenti asilo. Sono 13, provenienti dall'Africa subsahariana, e partecipano al campionato di Promozione Silver gestito dalla FIP Regionale

“È la prima squadra di pallacanestro, in Italia, formata da richiedenti asilo, mentre calcio e rugby ce le hanno già. L'abbiamo soprannominata Dream Team, come la leggendaria Nazionale maschile statunitense che vinse i Giochi Olimpici di Barcellona del 1992, ma senza alcuna presunzione. Per noi, infatti, non è la squadra dei sogni, ma il sogno di una squadra”, ha sottolineato il responsabile del CUS Basket Trento, Paolo Bari, aprendo, lunedì 22 gennaio nella sede del Centro Universitario Sportivo di via Prati, la conferenza stampa di presentazione di un roster “particolarissimo”, ulteriore esempio di socializzazione ed integrazione tramite lo sport.

“Tutto è partito più di due anni fa dal progetto 'One Team, One World', ideato e realizzato dall'Aquila ma voluto dall'Eurolega. L'obiettivo era appunto quello di favorire l'inclusione sociale dei richiedenti asilo e di promuovere il loro accesso all'attività sportiva”, ha spiegato invece il presidente della Dolomiti Energia, Luigi Longhi. “Un biennio di allenamenti necessario, fra l'altro, per avvicinare questi ragazzi al mondo della palla a spicchi, sconosciuto a quasi tutti”.

La positiva esperienza ha indotto i promotori a replicare l'iniziativa – seguita dal settore “Equità e Diversità” dell'Università di Trento – passando il testimone al CUS, che ha deciso di iscrivere la squadra, composta da 13 richiedenti asilo tra i 18 ed i 23 anni più quattro volontari, al campionato di Promozione Silver gestito dal Comitato Regionale della FIP.

“La partecipazione ad un torneo dilettantistico ufficiale offre a questi giovani, provenienti dall'Africa subsahariana, la possibilità di avere delle distrazioni e di confrontarsi con altre realtà e giocatori, rafforzando la loro fiducia ed il loro senso di appartenenza al gruppo, nonché al territorio in cui vivono”, ha affermato Nicola Bonelli, allenatore della squadra insieme al coach senegalese dell'Aquila, Moussa Gorgui Dia. “Dopo due mesi di intenso allenamento, lo scorso dicembre abbiamo disputato le prime partite, vincendone finora tre su otto. Ma – al di là dei risultati peraltro lusinghieri, visto che solo un richiedente asilo aveva inizialmente un minimo di familiarità con la palla a spicchi – questo progetto rappresenta uno stimolo anche per gli avversari. Basti pensare al cosiddetto terzo tempo, dove si mangia e si beve tutti insieme, contribuendo ad abbattere barriere e pregiudizi”.

Parole sottoscritte dal 22enne cestista maliano Ali, nel nostro Paese da un anno e quattro mesi, che ha voluto ringraziare in un apprezzabile italiano (la lingua ufficiale della compagine cussina, su espressa richiesta degli stessi giocatori) chi ha permesso tutto questo.

“È dunque una squadra vera, normale, che si allena (anche insieme ai “fratelli” maggiori che partecipano alla Serie D, ndr), disputa un campionato, gioca in casa ed in trasferta, rispettando sia le regole sia gli avversari”, ha rimarcato Bari. “Ma nel contempo è una squadra speciale, perché formata da richiedenti asilo, con tutte le difficoltà che questa condizione comporta soprattutto a livello burocratico. In buona sostanza, questo progetto conferma che lo sport in generale ed il basket in particolare costituiscono un mezzo per garantire normalità alla specialità”.

Attorno al progetto si è creata una rete di collaborazioni che vede impegnati, spesso in modo del tutto volontario, singole persone, enti ed associazioni come Kaleidoscopio, Caritas, Fondazione Comunità Solidale e Federbasket Trentino Alto Adige (operante in deroga).

“Non stiamo parlando di una squadra solamente del CUS, ma dell'intera comunità”, ha concluso Sara Ferrari, assessore provinciale all'università e ricerca, politiche giovanili, pari opportunità, cooperazione allo sviluppo.

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