“Non permettete mai a nessuno di dirvi che non sapete fare qualcosa”

Non era tra le convocate per l'amichevole vinta 3-1, domenica 11 febbraio al “PalaTrento” (di fronte ad oltre 500 spettatori), dalla Nazionale femminile italiana di sitting volley con la Slovenia. Ma, della pallavolo paralimpica giocata da seduti, l'azzurra Nadia Bala – protagonista, tre mesi fa, agli Europei di Poreč – è ambasciatrice nel nostro Paese dallo scorso dicembre. Gli incontri ai quali, adesso, tiene di più sono quelli con gli studenti.

“Non permettete mai a nessuno di dirvi che non sapete fare qualcosa. Se avete un sogno, lo dovete proteggere. Chi non ha fallito non ha mai provato nulla di nuovo”, ha affermato la 30enne giocatrice polesana della Polisportiva Qui Sport Trecenta nel primo dei quattro appuntamenti, dal titolo 'Io posso. I valori e le esperienza di vita per un'atleta paralimpica', organizzati la settimana scorsa negli istituti di Trento, Rovereto e Riva del Garda dal Comitato Regionale Trentino della FIPAV, in collaborazione con il Dipartimento della conoscenza della Provincia ed il Servizio infanzia e istruzione del primo grado.

Nell'affollata aula magna dell'ITT Buonarroti-Pozzo del capoluogo, Bala ha spiegato non solo l'importanza di avvicinarsi allo sport per una persona disabile, ma soprattutto l'importanza di non fermarsi mai davanti a niente. “Nemmeno io, che, come tutte le ragazze della mia età, pensavo al tacco 12 ed all'abito da sera, volevo accettare di dover passare il resto della mia vita in carrozzina, quando il medico me lo comunicò freddamente. Essere finita su sedia a rotelle lo consideravo un fallimento”, ha ammesso l'atleta veneta, scelta come testimonial dal Consiglio Federale della FIPAV, nella quale la pallavolo da seduti è entrata ufficialmente solo nel 2013, proprio l'anno in cui alla giovane venne diagnosticata la malformazione artero-venosa.

Ma di persone che non si sono arrese alle avversità della vita o che hanno saputo reagire ad un'ingiustizia è pieno anche il mondo dello sport: basti pensare a Jesse Owens, vincitore di quattro medaglie d'oro ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936; a Michael Jordan, escluso dalla squadra di basket ai tempi del liceo; a Nadia Comaneci, fuggita dal regime rumeno di Ceausescu; al campione transgender di triathlon Chris Mosier ed a Kathrine Switzer, la prima donna, ufficialmente registrata (con lo stratagemma delle iniziali del nome), ad avere corso una maratona nel '67, quando il regolamento ancora non lo permetteva.

“Per me, affetta da paraparesi ed epilessia farmacoresistente, l'unico modo per vincere la malattia, nonché i pregiudizi è il sitting volley, una disciplina inclusiva. Grazie alla quale, la parola diversità rimane fuori dal parquet, su cui non esistono handicap. A me ha cambiato la vita”, ha sottolineato Bala, fondatrice e presidente dell'associazione rodigina “Vinci l'epilessia”, il cui logo, non per niente, è un nastro con un pallone da pallavolo al centro.

“Tutte le persone con disabilità dovrebbero poter praticare, anche a scuola se studenti, sport paralimpici, qualunque essi siano. È anche per loro, uomini e donne per i quali noi atleti siamo un esempio ed un punto di riferimento, che continuo ad andare in giro per l'Italia”, ha proseguito Bala, commissario del sitting volley per la provincia di Rovigo.

Per favorire la pratica sportiva dei disabili non basta, però, la promozione delle varie discipline. “Oltre a farle conoscere, è necessario anche investire nella preparazione, soprattutto psicologica, dei tecnici e dare sostegno alle società. Nel caso del sitting volley, spero che Trento possa seguire l'esempio di Treviso, Ravenna, Rimini e Padova, città nelle quali sono già nati o stanno nascendo dei club”, ha concluso Bala, che sogna le Paralimpiadi di Tokyo 2020. “Perché sia gli sportivi disabili sia quelli normodotati sono atleti. E vogliono vincere, vincere, vincere”.

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