Sacramenti come “servizi”?

Caro Pier,

sappiamo bene che i sacramenti non sono un premio per i meritevoli, e che quindi non c'è nessuno che ne è più degno di altri, eppure a volte fa molta amarezza vedere come siano richiesti, se non addirittura pretesi, da persone che non ne riconoscono altro che il senso estetico o forse comunitario. Parlo ad esempio di genitori che vogliono che il figlio prenda la Prima Comunione senza mandarlo a catechesi, fidanzati che vogliono la chiesa come set ideale per l'album fotografico del matrimonio e per questo impongono scelte liturgiche imbarazzanti (basti pensare solo alle musiche che si sentono). Davanti a tutto questo vien da pensare che in certi casi sarebbe meglio rifiutarli, se non altro per preservarne la dignità. Tu cosa ne pensi?

Lorenzo

Per capire la situazione presente occorre a mio avviso fare una premessa generale. Il grande cambiamento degli ultimi decenni, in Europa prima poi anche nel nostro Paese, si è concretizzato dal punto di vista religioso nella fine della coincidenza fra comunità civile e comunità cristiana. Certo ci sono stati sempre “liberi pensatori”, anticlericali di vario genere, che si ponevano al di fuori del contesto cattolico; ma erano una sparuta minoranza, “pecore nere” additate come cattivi esempi. Si era cristiani per tradizione, per convenzione, più che per convinzione.

La vita quotidiana era scandita dalle ricorrenze liturgiche; il ritmo del tempo si misurava sui cicli stagionali che a loro volta si sovrapponevano alle feste e alle celebrazioni cristiane. Pure la scuola, l’istruzione pubblica, si intrecciava con la fede cattolica. Insomma dalla culla alla tomba non si poteva quasi distinguere la sfera religiosa da quella civile.

Inutile dire che oggi si è spezzato questo legame. Per certi versi è un mutamento inevitabile, provvidenziale in quanto – per semplificare – la commistione della Chiesa con lo Stato (anzi una Chiesa che si faceva Stato) implicava compromessi, tentazioni, comportamenti che mettevano in secondo piano l’alternativa di vita proposta dal Vangelo. D’altra parte però questo repentino annichilimento di una tradizione secolare ha portato a quella che chiamerei “confusione esistenziale generalizzata” in cui ogni cosa sfuma, ogni valore viene messo in discussione.

La realtà, come sempre, sta nel mezzo. Permane una sorta di immaginario cristiano ancora diffuso – ma declinato a livello sempre più individuale – che spinge ancora la maggioranza ad “appoggiarsi” alla Chiesa in certi momenti. Così si battezzano i figli per non discutere con i nonni; ci si sposa (sempre di meno) in chiesa perché è un’ottima location; si mandano i ragazzi all’oratorio perché altrimenti “dove li metti?”; si va al catechismo perché quasi tutti i bambini ci vanno, salvo poi letteralmente scappare dalla Chiesa dopo la cresima. Accade alla fine che siano soltanto i funerali l’occasione per rimettere piede in un luogo sacro.

Come dici tu ci sarebbe la tentazione di optare per soluzioni drastiche. Se non sei credente, se non comprendi il linguaggio religioso, comportati di conseguenza e amici come prima. Non puoi bussare alla porta della chiesa quando ti fa comodo, pretendendo alcuni “servizi”, salvo poi dimenticarti completamente. Rifiutare queste persone non sarebbe forse un atto di superbia, ma un sussulto di dignità.

Tuttavia non possiamo pensare a una Chiesa “montanista” cioè slegata dal mondo e costituita da presunti “puri” che allontanano tutti gli altri. Non è questo il messaggio di Gesù che invitava ad andare incontro ad “affaticati e oppressi”. E chi, con le più svariate ragioni anche magari molto lontane da un’effettiva convinzione di fede (ma chi siamo noi per giudicare?), si affaccia alla comunità, non può essere mandato via perché in partenza “non è degno”.

Allo stesso tempo è urgente qualche riforma. Il vescovo di Bolzano/Bressanone Muser sta proponendo una riflessione decisa sulla cresima. “Nessuno di noi – ha dichiarato mons. Muser alla rivista “Il Regno” – è così arrogante da pretendere di conoscere la strada giusta. Vogliamo avviare un percorso per trovare insieme le risposte a questi cambiamenti”. Quindi non mi permetto io di dare indicazioni.

Un punto soltanto: occorre coinvolgere al massimo la famiglia soprattutto per l’iniziazione cristiana. La catechesi ai bambini dovrebbe essere profondamente rivista: pensare che la trasmissione della fede (che poi sarebbe l’obiettivo) avvenga attraverso il catechismo è una pia illusione. Con grande prudenza si dovrebbero mettere in campo percorsi “differenziati”, cercando di puntare su quanti frequentano la chiesa con i propri figli e continueranno a frequentarla anche dopo la celebrazione dei sacramenti. Ci sono molte iniziative interessanti a questo riguardo, ma spesso non si conoscono. Oggi però è il momento di osare.

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