Centrafrica, un genocidio al rallentatore

“La metà della popolazione di Bangassou è fuggita, rifugiandosi nella vicina Repubblica democratica del Congo. Gli scontri continuano da giorni”. E’ lucida e drammatica la testimonianza di monsignor Juan José Aguirre Muños, comboniano, vescovo di Bangassou, nel sud della Repubblica Centrafricana. La città da mesi è al centro di assalti da parte dei cosiddetti anti-Balaka che prendono di mira la componente musulmana della sua popolazione. Il conflitto è iniziato nel 2013 quando le milizie musulmane Seleka rovesciarono il presidente Francois Bozize, innescando la risposta armata degli anti-Balaka, a prevalenza cristiana. Oggi i due gruppi si sono frantumati dando vita ad una serie di nuove milizie interessate al controllo del territorio, in particolare nelle zone orientali e meridionali del paese, ricche di oro e diamanti. Ecco alcuni passaggi della lettera inviata da mons. ai vescovi ad alcuni confratelli vescovi in Africa.

Cari confratelli,

riguardo a me, posso dirvi che sto bene, che dormo molto, che prendo i miei medicinali, mi alzo stordito e che il mio cuore ha resistito bene alle situazioni di panico estremo, di rischio al 100 per cento che io e i miei preti abbiamo sopportato da settimane. Trovo conforto nel Signore per non perdere il sangue freddo in questi tempi di tribolazione. Ma la situazione resta tale quale: 2000 musulmani in casa dal 13 maggio, e centinaia di anti-Balaka che cercano di ucciderli appena escono dai limiti del campo. Alcuni, dopo, li fanno a pezzi mostrando un grado di disumanità e ferocia incredibili. Non lasciano che le Ong vadano a prendere l’acqua per loro, né fanno entrare nell’accampamento cibo, legname, o altri aiuti. E’ un genocidio al rallentatore.

Noi preti e suore che siamo vicini a loro, in maggioranza donne e bambini, siamo considerati dei traditori per molti di questi giovani armati solo di fucili da caccia. Siamo minacciati e trattati come spazzatura.

I musulmani sono “custoditi” da soldati marocchini della Minusca (la missione di pace delle Nazioni Unite, ndr) che fanno il possibile per proteggerli. Adesso hanno accettato di andare prendere l’acqua al fiume. Gli operatori di MSF (Medici senza Frontiere) sono bravi e stanno aiutando molto.

In casa noi preghiamo insieme ogni giorno. I preti che si lasciano prendere dallo stress li facciamo uscire a Bangui per respirare un po’, perché l’aeroporto è aperto dalla Minusca, alcuni sentono il silenzio di Dio ed è meglio allontanarsi un po’ per riavere la pace e la forza della fede. Dio ama il silenzio. A volte si nasconde ai nostri occhi. I musulmani pregano molto. Finito il tempo del Ramadán hanno pregato sul terreno di basket del seminario, senza paura dei cecchini, e – poveri come sono adesso – hanno distribuito dolci a noi missionari. Hanno perso l’arroganza che ho visto in loro per anni. Qui, sono diventati poveri arroganti, bastonati dai ladri nell’attesa di un buon samaritano che se ne prenda cura.

Altri anti-Balaka hanno attaccato le missioni di Rafai, Zemio e Mboki. Zemio è bruciata al 60 per cento. Nzacko, una bella missione dove c’è la casa dei padri, il blocco operatorio, la chiesa, macchine, pannelli solari… è stata saccheggiata. Metà villaggio è bruciato, per mano dei musulmani Seleka, appoggiati dal governo del Ciad. Sono a 200 chilometri da Bangassou. E minacciano di venire da noi, il che sarebbe un disastro. Già li abbiamo avuti per 9 mesi di orrore nel 2013. Abbiamo visto in tv il presidente francese Macron abbracciare il presidente del Ciad. Ad alcuni è venuto da vomitare. Noi manteniamo la calma e aiutiamo i poveri. Il Signore saprà perché le cose succedono e le piaghe della sua passione sono sempre visibili. Il suo amore sarà più forte.

La morte è vicino alla nostra porta. Però preghiamo insieme, facciamo causa comune e anche i bambini musulmani giocano al pallone accanto ai carri armati della Minusca.

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