Il mugnaio Mauro Grott

Sono rimaste poche aziende in Trentino a macinare la farina. Un’attività manuale molto antica, legata alla forza idroelettrica, come ci racconta il mugnaio Mauro Grott, intervistato dai ragazzi della classe IV della scuola elementare Sacra Famiglia Trento.

Mauro, cosa faceva nel mulino di suo padre?

Avevo innanzitutto l’incarico di acquistare e portare al mulino i cereali da macinare: frumento, orzo, mais, segale. Poi seguivamo le macchine per la macinazione e una volta macinata la farina e aver destinato il sottoprodotto all’uso zootecnico, andavo a consegnare la farina a qualche negozio per la vendita.

Quando ha cominciato?

Direi che io sono nato nel mulino…da ragazzo ci andavo anche a a giocare con i miei amici. Non mi piaceva molto andare a scuola e quindi appena ho potuto mi sono dedicato al lavoro nel mugnaio, come aveva fatto mio papà Giovanni, mio nonno Luigi e anche mio bisnonno che pure si chiamava Luigi. Fino al 1886, quando fu spazzato via da un’alluvione, il mulino si trovava a Folgaria. Mio padre ha tasferito l’attività a Calliano sul sito di un mobilificio e ha continuato a servire di farina però la zona di Folgaria…

La IV della scuola elementare Sacra Famiglia Trento

Chi va al mulino s’infarina , dice un proverbio, appunto. Era il mugnaio che andava dal panettiere o viceversa?

Solitamente era il mugnaio, perchè il panificatore doveva alzarsi presto di notte e lavorava fino a mezzogiorno, quindi doveva riposarsi. Anche per mantenere la clientela il mugnaiosi portava il prodotto al panificio o alle Famiglie Cooperative. All’inizio si andava con carri tirati da buoi o cavalli; nel 1946 mio papà aveva acquistato una “Balilla” che gli serviva per trasportare i sacchi.

Che macchine usava?

All’inizio il mulino disponeva di macine a pietra o palmenti. Uno resta fermo, l’altro gira e da questa sistema si produceva una forza centrifuga che schiacciava il seme e lo trasformava in farina. Quest’amalgama veniva setacciato nei crivelli per separare la farina dalla crusca. La crusca – o buccia – serviva per uso zootecnico, per alimentare le bestie. La farina invece era ingrdiente base per la polenta e altri alimenti; in parte ci veniva richiesta anche per utilizzo farmaceutico in alcuni medicinali.

Altre macchine sono i moderni laminatoi per setacciare in modo meccanico. Alcuni sono opera di un ingegnere tedesco di nome Planzister e sono ancora in attività. Fra noi mugnai si usava dire “Che tipo di planzister usi?”.

Esiste una scuola speciale per diventare mugnai?

Sì, è stata riconosciuta dallo Stato. Si trova a Padova e vi s’insegna la macinazione e la manutenzione delle macchine. Più approfondita è la formazione nella

scuola di Pinerolo che insegna anche la chimica dei cereali.

Il massimo livello sarebbe l’Università che si trova in Svizzera a Uzvil in Sangallo, dove s’insegna a macinare, matutentare ma anche a panificare o pastificare la farina. Fino al 2000 non era riconosciuta come università.

Perché c’entra con la montagna il suo lavoro?

La farina è sempre stata vita, pane quotidiano. Durante le guerre ogni paesino aveva il suo mulino ad uso locale; in Italia sull’arco alpino – quando non c’era energia elettrica – si utilizzava per far funzionare i macchinari la forza idroelettrica. E l’acqua scende dalla montagna…

Terzo motivo: un tempo i cereali erano coltivati in montagna, fino ai 1300 metri. Pensate che anche oggi il grano saraceno viene coltivato dagli 800 ai mille metri..

Le piaceva il lavoro?

Ho tanta nostalgia per quest’attività. Capisco che forse potrei aver dato un dispiacere a mio padre (si commuove, n.d.r.), quando ho deciso di chiudere l’attività a causa di varie vicissitudini anche burocratiche.

Come si presenta oggi l’attivitò del mugnaio?

I veri molini in Trentino sono soltanto tre, si contano sulle dita di una mano. Devo criticare i responsabili provinciali che non hanno tenuto conto di cosa significa la cultural del mulino.

Tra parentesi una curiosità: preferisco dire molino perchè – come ha riportato il famoso Bepo Sèbesta, fondatore del Museo etnografico di San Michele all’Adige – perchè sono le mole che macinano: il mulo non c’entra nulla.

In dialetto si diceva mulinèr, il panettiere era il pistor mentre in veneto si chiamava prestinaio.

I problemi maggiori?

Quando nei mesi di raccolto – tra metà giugno e luglio – si portava cereale ancora verde e immaturo; talvolta lasciandolo nei sacchi o nella stiva rischiava di fermentare e quindi parte del cereale diventava muffa: sarebbe un medicinale ma quando facciamo la cottura essa diventa immangiabile: anche le galline, che pure si dice mangino di tutto, non mangiano cereale ammuffito. E’ solo il maiale che mangia proprio tutto.

Intervista a cura della IV della scuola elementare Sacra Famiglia Trento


Nome: Mauro

Cognome: Grott

Professione: Mugnaio

Segni particolari: Ora è in pensione, ma ha lavorato nell’azienda di famiglia a Calliano. “Per capire il nostro lavoro – ha premesso ai suoi giovani intervistatori – dovreste venire a vedere il molino!”.

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