Passi nel deserto, le fedi per la pace

L'appello alla pace è risuonato in più lingue nella bella mattinata di sole di domenica 7 ottobre al parco Santa Chiara di Trento, dove Religion Today ha proposto "Passi nel deserto", un momento di preghiera interreligiosa, recitata e cantata, dedicato a Sheikh Bukhari, leader sufi e co-fondatore dei "Jerusalem Peacemakers" scomparso nel 2010 e a padre Paolo dall’Oglio, gesuita fondatore della comunità monastica siriana di Mar Musa. Gli ospiti internazionali riuniti nel giardino hanno rappresentato un'oasi accolta dal saluto del direttore artistico Andrea Morghen e dall'olivo, simbolo di pace, che, portato da Gerusalemme e piantato dieci anni fa, quest'anno ha dato per la prima volta i suoi frutti. E frutti preziosi, ha sottolineato Lia Beltrami, sono anche quelli che sta raccogliendo il festival in questa edizione dedicata ai giovani, protagonisti a tutto campo sia nel dietro le quinte dell'organizzazione che sul grande schermo in qualità di registi.

Oltre a essere un'ideale, un'aspirazione, una sfida e un compito affidato ad ognuno, la pace stessa è un frutto che richiede pazienza nel provare a coltivarlo e perseveranza nel contribuire a costruirlo ogni giorno, senza arrendersi di fronte ai "deserti" delle zone di conflitto e a tutte le difficoltà che ostacolano il dialogo tra le differenze culturali e religiose, che rappresentano invece la ricchezza di cui ogni uomo e ogni popolo è portatore. "Pregare insieme, ognuno con la sua fede, significa esplorare le differenze, cercando di elevare il nostro spirito", ha detto Beltrami, Leone d'Oro per la pace 2017, introducendo i rappresentanti delle varie fedi presenti.

"Tutte le mattine – ha esordito il rabbi e filmaker ebreo israeliano Gilad Goldschmidt – noi ebrei preghiamo ringraziando Dio perché ci ha restituito la nostra anima: noi crediamo che durante la notte essa salga verso il cielo, dove viene scritto tutto quello che ha fatto di giorno, e perciò non è garantito che la mattina seguente l'anima torni, ecco da dove nasce la nostra preghiera".

"Mi domando sempre cosa possiamo fare per vivere più felici – ha detto Yoo Younguee, monaca buddista e regista proveniente dalla Corea – e, da persona religiosa, come posso contribuire: la religione per noi è farci uno con tutta l'umanità, è vivere insieme cercando di raggiungere l'unità". Per ironia della sorte, a causa della diversità di religione nascono guerre, ma nel suo "Sermon on the Mount", la regista approfondisce il tema della pace e della natura umana mostrando che è il Vangelo stesso a ritenere possibile l'unità tra le religioni e che tutti credano nello stesso valore della pace, via per costruire un mondo migliore.

"È una grazia poterci incontrare – ha detto l'arcivescovo emerito Luigi Bressan -, e attraverso il linguaggio cinematografico possiamo arricchirci di comprensione reciproca e conoscerci sempre meglio entrando in contatto con esperienze diverse. La lotta contro le guerre e la povertà sono grandi sfide, ma abbiamo la responsabilità quotidiana di lavorare promuovendo conoscenza, rispetto e cooperazione affinché tutti possano vivere in pace".

Alla preghiera del sacerdote greco cattolico Augustyn Babiak e del pastore anglicano irlandese Philip McKinley, è seguita in conclusione quella dell’Imam di Trento Aboulkheir Breigheche: “Gli alberi intorno ricordano a noi musulmani l’insegnamento del profeta: anche quando verrà il giorno del giudizio, piantate i vostri semi. Questo ci fa capire che, nonostante le difficoltà, dobbiamo avere speranza, perciò oggi preghiamo insieme per la convivenza pacifica tra i popoli, una strada non lineare, e chiedo a Dio la forza di continuare a impegnarci su questa strada, e di portare avanti il lavoro del Tavolo delle appartenenze religiose e del festival”.

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