Con lo sguardo di padre Mario

Il libro di Paolo Damosso racconta con uno stile avvincente e veloce la vita del missionario trentino p. Borzaga, ucciso in Laos a 28 anni

Era il giorno della prima omelia che padre Mario Borzaga avrebbe dovuto tenere in lingua laotiana. Come la sua precisione e scrupolosità imponevano, il missionario trentino aveva scritto e riscritto il testo, lo aveva fatto rivedere per poi copiarlo definitivamente su due fogli. Il tragitto in bicicletta però fu fatale, i fogli caddero chissà dove, padre Mario si accorse troppo tardi di averli perduti: tuttavia riuscì lo stesso a predicare, tanto aveva imparato a memoria il contenuto.

Si potrebbe dire che quei fogli caduti chissà dove, così simili a quel seme gettato di cui si parla nella celebre parabola, sono giunti a noi alla fine di un lungo percorso, trasformandosi nei diari e nelle lettere (materiale non ancora del tutto edito) che padre Mario ci ha lasciato. L’attenzione per questa figura di missionario martire – ricordiamo che Mario Borzaga scomparve nell’aprile 1960 tra le montagne del Laos, ucciso dai guerriglieri comunisti del Pathet Lao – viene ridestata dall’uscita di un volume a lui dedicato, edito dalle Edizioni San Paolo, scritto dal giornalista e cineasta Paolo Damosso.

Il libro, più che assumere le caratteristiche del romanzo (benché il titolo sia “Romanzo d’amore”), sembra essere costruito come la sceneggiatura di un film. Si parte dalla fine della storia, da quel sentiero tra i villaggi laotiani in cui padre Mario ha incrociato la morte, pronunciando l’ultimo sì a Dio nell’offerta della vita per gli altri. L’autore immagina il missionario che rivede in pochi istanti la sua esistenza in un ultimo serrato colloquio con Armando. Chi è questo personaggio? Per saperlo bisogna aver letto i diari di padre Mario. A un certo punto della sua missione, padre Borzaga avverte la stanchezza, la solitudine, il senso di vuoto e di inutilità, alcune divergenze con i confratelli: e quindi “inventa” Armando, una sorta di alter ego a cui confidare i suoi stati d’animo.

Nel libro di Damosso, Armando accompagna il racconto, è presente in tutti i momenti decisivi: la tranquilla infanzia, il desiderio di diventare sacerdote, l’anelito alla missione, l’addio alla famiglia a Trento, la partenza definitiva da Napoli, la difficile ambientazione in Laos… Diventa l’interlocutore di Mario, quello che si lamenta, che chiede “perché sono qui”, ma che infine cede al fervore della fede del giovane missionario.

Per poter ricostruire in maniera autentica la biografia di padre Mario – benché il libro sia appunto una storia “romanzata” – l’autore è stato più volte in città, in casa Borzaga in Via Gorizia a Trento, ha ascoltato i racconti di Lucia, sorella e fedele custode della memoria di Mario. Nel volume dunque non ci sono episodi “inventati” bensì narrati con uno stile avvincente e veloce, semplice ma ugualmente coinvolgente.

L’intento non è quello di presentare tutti gli aspetti di una vicenda a prima vista lineare, ma in realtà complessa, come era complessa la personalità di padre Mario, un mistico che ama la scrittura e il pianoforte, ma che sceglie con forza la missione, una missione difficile, in una terra ancora più difficile. Mario, giovane dall’animo delicato e sensibile, deve diventare “infermiere”, deve adattarsi a fare lavori manuali, deve imparare le lingue (non una sola!) del posto. Tutto questo viene sfiorato dal racconto che diventa invece un invito a conoscere meglio, ad entrare maggiormente in un pensiero a volte troppo elevato per essere compreso senza prima entrare in sintonia con la sua concreta vita. E Damosso riesce proprio in questo: raccontare con semplicità padre Mario, per poi lasciare spazio a un necessario approfondimento.

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