«Così offriamo una rete di pace»

Pace. Anche solo per un attimo. E non solo a parole, ma attraverso un contatto umano autentico, per lo più mediato dalle reti sociali. Lo offre in Avvento e Quaresima (terza edizione) una sinergia pastorale coordinata dall'Ufficio Comunicazioni della Diocesi di Padova, diretto da don Marco Sanavio, che lo racconta via Skype per la platea dell'incontro diocesano trentino.

Come si concretizza il progetto ”Un attimo di pace”?

La rete resta il primo aggancio con chi ha poca dimestichezza con la pratica cristiana, ma siamo anche presenti con messaggi mirati sugli autobus o nei centri commerciali. La persona viene poi invitata ad un incontro in presenza e successivamente ricontattata per capire se ha gradito la nostra proposta. Inizia così una relazione. “Un attimo di pace” non è una somma di iniziative ma una rete di relazioni.

Rete alla quale comunicare che cosa?

Inizialmente inviamo agli iscritti tutti i giorni un frammento di Vangelo con una riflessione che parte della vita. Il messaggio viene poi propagato in radio, in podcast su web, ma anche trascritto da volontari e distribuito agli ammalati in ospedale. Il messaggio è concentrico e si situa nel cerchio più largo. Diciamo: “Prenditi un attimo di pace. Poi, se vuoi dentro questa oasi di ristoro quotidiana c'è anche il messaggio di Cristo”. Abbiamo feed-back dalle persone più insolite; c'è anche un grande regista italiano che la riceve non sappiamo attraverso chi. Ma anche riscontri di decine di persone che sono in difficoltà e ci ringraziano per aver offerto loro un'oasi di pace.

La rete in che modo viene utilizzata a sostegno del progetto?

Il modello si chiama “bricks and clicks”, mattoni e click, ed è stato inventato dalle catene di supermercati statunitensi per aiutare le persone a fidarsi della rete sulla quale fare acquisti “toccando” le cose al punto di ritiro. Noi abbiamo bisogno che le persone sentano la rete come sostegno di un contatto che è poi anche fisico, perché noi stringiamo la mano a queste persone, le accogliamo alle visite artistiche o dentro un planetario per una serata di stelle e musica che si conclude con una serie di domande sul senso della vita, su come Dio ci può intercettare dentro la nostra finitezza.

Idea originale, la vostra, o ripresa da altri?

È mutuata in parte da un'esperienza francese decennale, quella dei domenicani di Lille del loro “Ritiro nella città”: un'offerta di meditazione un'esperienza mista tra web e presenza. Noi l'abbiamo allargata a luoghi inusuali.

Quanto costa l'iniziativa in risorse umane ed economiche?

L'investimento è modesto: bastano poche migliaia di euro. Ci sono le quattro persone dell'Ufficio me compreso, più un giovane che svolge il ruolo importante di social media manager. Ma assicuro che è più l'impegno emotivo derivante da tutti questi contatti che ci sollecitano costantemente ad essere presenti.

Le reti sociali quanto contano nel buon funzionamento del progetto?

Fino al 70%. Se non utilizzassimo in maniera capillare i social media non avremmo questi risultati. Abbiamo una rete di venticinquemila utenti di cui conosciamo nome e cognome. Ma non sappiamo quanta gente in più raggiungiamo realmente.

La credibilità nel web 2.0 si costruisce a partire da che cosa?

Il termine Web 2.0 non è più attuale. La credibilità si fonda sull'immediatezza e sull'autenticità delle risposte che dai. Quando l'utente del web percepisce che dietro ci sono persone reali e non avatar ed esse ti danno risposte immediate, questo costituisce un'autorevolezza indiscussa. E per noi è una provocazione a non tradirli nel percorso avviato.

Se non più web 2.0, che cosa?

C'è un'idea curiosa lanciata da Tim Berners Lee, uno dei padri della rete. Dice che il “ggg” deve prendere il posto del “www”. L'immagine nuova che rappresenta la rete è quella del grande-grafo-gigante, ovvero un tessuto di relazioni. Io opero molto anche per la pastorale con i social e non noto più grosse differenze tra quello che percepisco dal vivo o mediato dall'elettronica. In fondo anche nella telefonata parli con un pezzo di plastica e quindi non siamo ingenui nel dire che il virtuale è falso ed alienante. Il virtuale fa parte oggi della vita.

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