Fozzer, decano dei gesuiti

Ha chiuso gli occhi per sempre il 25 luglio scorso, ma la notizia da Milano non è arrivata in tempo per uscire subito sulla sua “carissima” Vita Trentina, alla quale mandava puntualmente ogni anno un pensiero natalizio e pasquale. Padre Luciano Fozzer, “decano” dei gesuiti italiani, se ne è andato alla vigilia dei 102 anni, che avrebbe compiuto il prossimo primo settembre, quando gli amici di Villa Sant'Ignazio sarebbero andati a trovarlo. Era una gioia conversare con lui, gustare goccia e goccia la sua sapienziale giovialità, attingere ai tanti capitoli di una vita religiosa lunga e avventurosa fra Italia, Brasile (38 anni) ed Albania (19 anni). Lo ricordiamo all'ultimo rientro a Trento nel 2012 dopo che nella cattedrale albanese di Scutari lo avevano festeggiato per i cent'anni. Le faranno un monumento in Albania, padre Luciano? “Ma certo, anzi due!” ci rispose con la sua intelligente arguzia.

Era nato nel 1912 in città nella numerosa (dieci figli) e famosa famiglia Fozzer, ma Luciano a 20 anni era già entrato a Gorizia nella Compagnia di Gesù. Studiò a Lonigo, Gorizia e Gallarate per la filosogia, nel 1938 a Scutari in Albania per il magistero e nel 1940 a Chieri per la teologia. Qui divenne prete il 15 luglio 1943.

Nel 1944 tornò a Trento come “sottoministro” e confessore. Quindi due anni come ministro a Padova. Nel 1947 fece il Terz’anno di probazione a Firenze, ma nel 1948 tornò ancora per un anno a Padova, direttore della scuola di religione, dove nel 1949 emise gli ultimi voti. Nel 1953 via in missione in Brasile a Salvador di Bahia, Sao Luis, Belem e Manaus come ministro, parroco, economo e padre spirituale.

Nel 1991, “riaperta” l’Albania dopo gli anni della dittatura, Padre Fozzer, a 79 anni, chiese di ritornarvi. E’ inviato a Scutari dove resterà fino al 2011 svolgendo compiti di ministro, economo, confessore. Nel 2011, a 99 anni, il suo rientro definitivo in Italia, a Gallarate, impegnato presso l’Associazione degli albanesi in Italia, senza mai interrompere il ministero delle confessioni. I ricordi della memoria di ferro furono raccolti dai gesuiti col titolo “Con la mia valigia, – memorie di un nonagenario (e rotti) – che ha raggiunto i cento anni". I confratelli lo hanno ricordato come “gesuita di fede solidissima, come la sua tempra, e di grandissima generosità apostolica”.

Lo ricordiamo anche alla veglia diocesana nel 2012, parlando in piedi dall’ambone del Duomo di Trento, aveva salutato prima "i miei carissimi fratelli albanesi" presenti in Italia e testimoniò poi la dedizione dei suoi confratelli gesuiti negli anni del sanguinario regime di Enver Hozha, che con il popolo albanese condivisero la prigionia, la tortura, fino al patibolo. "Io non ho sentito le scariche dei fucili che ammazzavano i miei compagni, i miei superiori, i miei amici, i miei alunni, perché ero in Italia. Non ho sentito con le orecchie il loro ultimo grido: Viva Cristo Re. Ma lo porto nel cuore".

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