I missionari pagano con la vita

La strada che Gesù ha scelto per salvare e liberare gli uomini diventa reale e concreta

Tutto l'impegno quaresimale di penitenza e di conversione viene focalizzato in questa domenica nel mistero della croce, la croce di Cristo ma anche di tutti i crocefissi di questo mondo. Gesù muore sulla croce in obbedienza al Padre e in solidarietà con gli uomini.

La strada che Gesù ha scelto per salvare e liberare gli uomini, già indicata nelle tentazioni, ora diventa reale e concreta. In contrasto con ogni ragionevole attesa, egli non segue il cammino della forza e della ricchezza, ma quello della debolezza e della povertà. Entra sì in Gerusalemme acclamato come re con canti e palme, ma per cominciare la sua passione. I ramoscelli di olivo non sono talismani contro possibili disgrazie, ma segni di un Re e Signore che salva e libera con la croce.

Nell’impatto con la croce, la nostra fede vacilla, il peso della croce che schiaccia il Giusto sembra dar ragione alla potenza dell’ingiustizia, della violenza e della malvagità. Sale inquietante la domanda del “perché” di questo cumulo insopportabile di sofferenza e di dolore che investe Gesù e con lui tutti coloro che soffrono e perdono la vita.

Abbiamo ricordato recentemente i missionari uccisi nell'esercizio della loro missione: più di mille in questi ultimi trent'anni e 12 solo nel 2013. I più conosciuti da noi sono il comboniano P. Remo Armani, ucciso nel Congo Belga cinquant'anni fa; i Cappuccini P. Saverio Torboli , ucciso 30 anni fa in Mozambico, e gli altri tre, P. Camillo Campanella, P. Francesco Bortolotti e Fra Oreste Saltori, uccisi 25 anni fa ancora in Mozambico. Ma non solo i missionari; pensiamo ai profughi, agli emigrati, ai fatti di cronaca recenti e quotidiani: quella mamma che uccide le sue tre bambine prima di tentare di togliersi la vita; quel ragazzo di quindici anni che mette fine alla sua sofferenza lanciandosi dalla finestra e che apparentemente aveva tutto; tanti imprenditori e lavoratori che si tolgono la vita perché sopraffatti dai debiti e dalla mancanza di lavoro. Possibile che nessuno sappia, nessuno veda, nessuno aiuti? Perché non hanno avuto il coraggio di confidare a qualcuno la loro disperazione? O forse l'hanno fatto ma nessuno ha risposto? A cos'è servita allora la passione e la morte di Cristo?

C'è la possibilità per noi di dare una risposta, non a coloro che non ci sono più, ma a chi si trova ancora in queste situazioni? Il nostro impegno per la Quaresima, un pane per amor di Dio, termina a Pasqua, tra una settimana?

In questo contesto vorrei ricordare un’altra processione che entra in Gerusalemme e che S. Paolo descrive nella lettera ai Romani: “Per il momento vado a Gerusalemme a rendere un servizio ai santi di quella comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione con i poveri tra i santi che sono in Gerusalemme. L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali. Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato raccolto, partirò per la Spagna passando da voi” (Rm 15, 25-28)

Anche noi siamo debitori a chi ci ha aiutato nella fede e nella vita. Dio ci ha dato la vita e una famiglia, i nostri genitori ci hanno educato a vivere e a credere, ci hanno lasciato una casa, la comunità cristiana ci ha accompagnato e ci accompagna con la Parola di Dio, i sacramenti, la catechesi. La società ci dà la scuola, l'ospedale, il lavoro… e la pensione. E noi che cosa diamo? Come possiamo seguire l'esempio di Gesù nel dono della sua vita per noi? Gesù continuamente si dona a noi perché abbiamo la vita in abbondanza.

Un proverbio in Mozambico dice: “dare è seminare”, e un altro: “mangiare da soli non sazia”, e un altro ancora: “se non condividi oggi, domani sarai solo”…

Padre Guido Felicetti

(a cura del Centro Missionario Diocesano di Trento)

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