Il pastoralista del Concilio

L'ex vicario generale ha guidato la Chiesa trentina nella traccia del Concilio con grande capacità di leggere i segni dei tempi

Da quando ha chiuso gli occhi per sempre, martedì 10 febbraio a 82 anni dopo una malattia affrontata nella fede, sono in molti a risentire con nostalgia la sua risata bonaria, la riflessione acuta, l'immagine folgorante espressa talvolta nel miglior dialetto: mons. Severino Visintainer è stato un protagonista della Chiesa trentina nel dopo Concilio, docente autorevole per i nostri preti, guida stimolante per tanti laici e interlocutore ricercato dalla società civile trentina. Vicario generale per vent’anni è diventato un opinion leader, punto di riferimento per il cattolicesimo trentino negli anni della semina conciliare, braccio destro di mons. Alessandro Maria Gottardi.

“Cari confratelli, penso che Dio ci perdonerà se qualche volta ci succede di prendercela con Lui e con la gente – ebbe a dire nella relazione conclusiva del Sinodo diocesano, il 17 novembre 1985 all’Auditorium – ma poi, mitissimi nel nostro intimo, dobbiamo riprendere il cammino e camminare in testa. Dobbiamo saper pilotare il passaggio, vivere dentro la crisi, coltivare una “spiritualità della crisi, la spiritualità mosaica. Vicinanza a Dio, amore alla gente, e possibilmente, nervi saldi”.

Quasi un programma di vita e di ministero per quel brillante prete noneso nato a Salter (dove viene sepolto il 12 febbraio dopo il funerale celebrato in Duomo alle 10 ed a Romeno alle 14.30), formatosi in seminario nel clima preconciliare, fu cappellano a San Giuseppe e gli amici di allora non hanno mai smesso d’incontrarsi periodicamente con lui, fino al dicembre scorso.

La laurea alla Gregoriana con studi a Lovanio lo portò ad insegnare la teologia morale in seminario, dentro quel rinnovamento richiesto dal Concilio e dalle urgenze sociali sociali e politiche. Illuminato dal primato della coscienza cristianamente formata e dal valore della comunione ecclesiale (“non sono ancora superate nella nostra Chiesa visioni autonome e settoriali”, rilevò a proposito al Sinodo), riversò questa sua solida formazione negli incarichi diocesani: da vicario generale (15 anni con Gottardi, 5 con Sartori) maturò una passione anche teorica per le sfide della pastorale (al punto da insegnarla in seminario), puntò sul protagonismo dei laici come assistente diocesano di Azione Cattolica (“dobbiamo stare nelle parrocchie, dove si avanza col passo anche lento della fanteria”, diceva), si confrontò con le scelte non violente come presidente della Commissione “Giustizia e pace”, si fece compagno di strada e coscienza critica per imprenditorie ed economisti come delegato vescovile per i problemi sociali. Non le risparmiò ai politici trentini, denunciando in un’intervista ad Avvenire del una politica e stigmatizzando in anticipo lo scandalo dei vitalizi. “Un prete che ci ha svelato i segni dei tempi”, disse di lui Lorenzo Dellai consegnandogli l’Aquila di San Venceslao nel 2008.

Nel 2000 chiese e ottenne di poter tornare – non più pastoralista ma pastore – in val di Non come pluriparroco, seguendo in solido per amicizia e sintonia il compagno mons. Piergiorgio Piechele. Non si sottraeva però a dialoghi con gli amici di sempre e alle domande dei media diocesani: “Un cristianesimo trascinato non ha futuro, ma neanche presente”, disse nel 2008 a radio Trentino inBlu segnalando una soggettivizzazione della fede che “mette in discussione” le scelte tradizionali, non mature.

“E’ stato un grande uomo di fede ma anche di passione per il nostro tempo, fiducioso nella misericordia di Dio”, lo ha definito mons. Luigi Bressan poche ore dopo la morte, evidenziando la sua capacità di mediazione in varie circostanze. La più sofferta, nell’episcopato di mons. Sartori, fu “l’avvicendamento” di don Vittorio Cristelli alla guida di Vita Trentina, perché alla missione del nostro settimanale Visintainer aveva creduto per molti anni come presidente del Consiglio di Amministrazione.

Don “Seve” (come lo chiamavano gli amici) non ha lasciato molti scritti – a parte le preziose dispense per il seminario e la Scuola di Formazione teologica o gli esercizi spirituali per l'Azione cattolica, per religiosi e religiose – ma la sua traccia di sapienza e di profezia merita di essere raccolta e valorizzata. Nell'ultima occasione in cui lo sentì la radio diocesana sul tema della vita oltre la morte (autunno 2012) non ebbe timore a raccontare a Piergiorgio Franceschini questo aneddoto: “Qualche anno fa mi trovai in sala operatoria all'ospedale di Verona per quello che credevano erroneamente un tumore al cervello, mi hanno aperto il cranio e ad un certo punto dell'operazione mi sembrava di sprofondare in un pozzo molto profondo; vedevo i miei amici stare sopra, sul bordo del pozzo, che mi guardavano giù. Ed io li invidiavo, perchè – mi chiedevo – io vado a morire e loro vivono?. Poi, in questo stato di solitudine terribile, mi è venuto un pensiero, anzi una sensazione. Mi dicevo: ma non sono solo perché Cristo è morto vissuto prima di me, è morto per me, ora muore con me. Da qui una serenità, una tranquillità che mi è venuta addosso nel momento in cui sprofondavo. E mi ripetevo: il Signore Dio è morto prima di me, per me, con me”.

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