“Mai più autoreferenziali”

Dall’Assemblea di Dro l’esempio di una programmazione pastorale di Zona. E il vescovo rilancia: “Torniamo alle radici, la Parola e i poveri”

Ad un anno dal lancio delle otto Zone pastorali, a mezzogiorno di sabato scorso, conclusione dell’assemblea di Dro, è apparso chiaro come si può definire nel concreto una pastorale di Zona. Lo si è visto quando tutti gli operatori di Alto Garda le stesse giornate – precisamente il 10 dicembre e il 10 gennaio – a momenti di formazione specifici a livello di zona: i ministri della comunione, i chierichetti e i sacristi, gli operatori familiari, i catechisti… e così via, tutti in concomitanza in quelle due date, a “scolpire” quasi sul calendario il cammino comune. E così già sono fissati fino al maggio 2020 gli incontri bimestrali del Consiglio pastorale di Zona, l’organismo di regia e promozione. Ma non è solo una questione di calendario, perché il vicario di Zona don Dario Silvello ha indicato altri due momenti da vivere insieme come parrochie dell’ampia Zona che va da Terlago, alle porte di Trento, a Tiarno di Sopra, in fondo alla val di Ledro: la settimana di animazione missionaria, promossa con la Zona dai padri Verbiti di Varone (vedi pag.32) e poi una serata formativa col biblista Gregorio Vivaldelli.

Che di “passi di comunità” se ne siano fatti rispetto allo scorso anno, si è colto anche visivamente: se lo scorso anno c’erano quattro sacerdoti sul palco, sabato scorso sono saliti per l’accoglienza coppie di sposi e anche ragazzi di Nago Torbole e Oltresarca con una preghiera mattutina efficacemente sintonizzata sull’avvio del Sinodo amazzonico e dell’ottobre missionario: un canto danzato in stile latinoamericano guidato da Carla Donati e poi la proclamazione del francescano Cantico delle Creature. Ma anche l’introduzione è stata offerta in modo originale, lasciando in disparte il canonico tavolo dei relatori: don Paolo Devigili e Laura Giuliani, rappresentando evidentemente tutti gli operatori presenti hanno scambiato informalmente alcune riflessioni sulla capacità di essere comunità credenti e credibili. “Siamo persone innamorate di Gesù Cristo o adagiate?” la sollecitazione per i gruppi di lavoro, stimolati anche da due testi presentati da Carlo di Varone e Silvana: la profezia di papa Ratzinger che cinquant’anni fa immaginava una Chiesa destinata a svuotarsi nei numeri, ma per ripartire riscoprendo l’essenziale, la fede in Gesù Cristo, e la recente provocazione di papa Francesco sull’urgenza di un nuovo patto educativo per bonificare il terreno dalle discriminazioni e riscoprire la fraternità.

I GRUPPI DI LAVORO

Ben dodici i gruppi in cui sono stati suddivisi tutti i partecipanti (quest’anno, a onor del vero, la partecipazione è stata numericamente inferiore a quella dello scorso anno) per un confronto di oltre un’ora su queste due domande: Come sono la mia comunità cristiana? Nella realtà di Chiesa che stiamo vivendo quali sfide vedi e quali opportunità cogli? Quasi tutti hanno potuto esprimersi, anche con molta libertà, per un contributo che sarà poi valorizzato dal Consiglio di Zona: si è percepita la forza della testimonianza, del partire da concrete testimonianza e “fatti di Vangelo” giù vissuti nelle varie parrocchie, e insieme il riferimento al Vangelo.

E’ il filo che accomuna quattro esperienze estive dei giovani della Zona, introdotte da suor Barbara e raccontate anche con video: da Riva (Sebastiano presenta l’esperienza del pellegrinaggio in bici da San Patrignano a Loreto) a Dro (Simone sul campeggio itinerante sul cammino di San Vili), da Arco (Franco e Michele sintetizzano il viaggio tra Assisi, Roma e Roccella Ionica, ospiti di una comunità di accoglienza) alla Valle dei Laghi (Carlotta, Silvia e Federico e il campeggio di quaranta ragazzi dai 13 ai 18 anni a Firenze, scoprendo la bellezza del volontariato).

IL VESCOVO E LE RADICI

“Dopo il ‘prendere il largo’ – invito d’apertura delle assemblee del scorso anno – quest’anno propongo di andare a cercare le radici del nostro essere Chiesa”, ha esordito mons. Tisi. Il grande problema, sottolinea, è “trovare un senso all’esistenza”, come dimostrano i suicidi in Trentino, il doppio rispetto alla media italiana, solo tre nell’ultima settimana. “Noi cristiani dove troviamo il senso? Nel prologo di Giovanni: in principio c’è la Parola. Se perdiamo questo contatto, a un certo punto tutto diventa non-senso. Vi invito – a tornare a quella Parola che si è fatta carne in Gesù di Nazareth”.

Si comprende bene perché le Assemblee di quest’anno (la prossima a Moena sabato 12) sono state intitolate “Affidàti al Vangelo” che per don Lauro significa anche “affidàti al volto, ai lineamenti di Gesù di Nazareth. Dio in Gesù mi porta la notizia che io sono senso. Anche nelle comunità celebranti rischiamo di non avere la convinzione e l’esperienza di un disegno di tenerezza che è incontrabile nel volto di Gesù di Nazareth. Ho l’impressione che annaspiamo perché non lo frequentiamo”.

L’Arcivescovo ha ripreso la riflessione condivisa qualche giorno prima con i sacerdoti per evitare il rischio di essere leader solitari. “La questione seria è che il leader deve diventare la comunità. La Chiesa deve essere immissione di fraternità, dove tutti hanno posto e senso. Il leader deve diventare la fraternità, frammento di uomini che vivono il tentativo di volersi bene e stimarsi”.

Dopo aver fortemente stigmatizzato la tendenza alla lamentela (“ci sono troppi brontoloni sistematici nelle nostre comunità”, ha detto rilanciando Papa Francesco), ha ribadito le due vie concrete:  tornarea frequentare l’Eucarestia e la Parola, così da ritrovare le radici del nostro essere cristiani. “Dobbiamo purificare le motivazioni e chiederci perché ci muoviamo e perché siamo Chiesa, per vedere se in quel file c’è ancora Vangelo e Gesù Cristo. La bestemmia peggiore è quando Dio vede i suoi figli delegittimarsi, criticarsi. Torniamo a stimarci, parlare del Regno, della vita”.

Una seconda via: tornare ad essere in mezzo ai poveri, come hanno fatto i giovani nelle loro esperienze estive. “Se tu ascolti il grido del povero ti muore in bocca la critica, la distruzione della fraternità, torna la simpatia per il fratello. Quando sento il dolore dei parenti di chi si è suicidato, i cosiddettisopravvissuti, metà dei problemi passano…Se ci sottraiamo all’amore, rinunciamo a cambiare la vita”.

Sui lavori, proseguiti nel pomeriggio con l’incontro introdotto dal vicario generale don Marco Saiani e riservato a operatori della carità e animatori di oratorio, è rimasta la prospettiva zonale indicata da don  don Dario Silvello:  “Un principio che possiamo dare per necessario e indalazionabile è quello che nessuna realtà può permettersi di essere autoreferenziale. Non splende di luce propria ed è chiamata a collocarsi in una rete dio relazioni e di collaborazione”.

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