Santa Teresa, mistica e concreta

Leggendo d’un fiato la sua vita, Edith Stein disse: “Qui è la verità”

Nel 2015 cade il V° centenario della nascita della più grande Santa spagnola (1515-1582). E cade felicemente con quello di S. Filippo Neri (1515-1595) e di S. Giovanni Bosco (1815-1888), a lei diversamente legati e con lei paragonabili.

Teresa d’Avila è talmente ricca di doni di natura e di grazia da esercitare ancora oggi un fascino straordinario, è una trascinatrice irresistibile. Lo mostrano  già i suoi testi così immediati, decisi e illuminanti. Un’ebrea  atea, ma poi divenuta cristiana e  carmelitana e morta martire, Santa Edith Stein, leggendo d’un fiato la sua Vita  chiudeva il libro dicendo: “Qui è la verità”.

Tutta l’esistenza di Teresa, in Spagna la Santa per antonomasia e anche la Santa della “razza”, prova  quanto ella abbia il carisma di avvincere ed educare le persone.  A otto anni induce un fratello a fuggire con lei  di casa per andare nella terra dei Mori. A vent’anni ne trascina un altro verso il convento.  Nello stesso doloroso e  lungo periodo di “mediocrità” (dal 1538 al 1554), resta una persona molto ricercata per il  fascino della conversazione spirituale o meno.

I doni per riuscire in questo li ha tutti: intelligenza lucida e pronta, squisita sensibilità, viva simpatia, parola facile e accattivante, fedeltà nell’amicizia, generosità nel dare e nobiltà nel chiedere.  È affascinante e simpatica perfino nei difetti, nelle “preferenze” che prova per le persone. Anche dopo la sua “conversione”, quindi negli anni  di risoluta  dedizione a Dio (quando pronuncia  il voto “del più perfetto”, cioè di dare a Dio sempre il massimo),  ha attenzione per tutti, ma si riserva clamorose preferenze per alcuni.

Ci si potrebbe chiedere perché per quasi un ventennio resti così “mediocre”, anzi peccatrice,  come si definisce lei, sebbene ai più risulti esemplare e piaccia anche  come persona consacrata. Perché e come mai? E’ un vero mistero della sua storia spirituale, visto che le sue possibilità di donazione e realizzazione secondo la sua vocazione di monaca sarebbero enormemente  più grandi, come si vede poi dai fatti, tant’è vero che poi  esplode  in una vita straordinaria di preghiera e di ansia apostolica. Fatta com’è, non può cambiare vita se non davanti all’immagine di Cristo flagellato, perché la sua carica affettiva la volge precisamente  a capire l’amore che Cristo ha per l’umanità e per lei personalmente.

A quarant’anni è troppo sincera per non decidere  di essere più coerente, secondo il suo principio che fisserà più tardi: “Chi comincia a servire davvero il Signore, il meno che gli può offrire è  la vita”. Si è fatta suora superando le obiezioni di suo padre, ma solo pensando a se stessa e preoccupata di salvare la propria anima.  Ma dopo la “conversione” si apre a ideali sempre più vasti, protesa solo a dare gloria a Dio e  salvare le anime.  Temperamento adamantino e  coraggioso,  apertamente spiaciuta di essere donna in un’epoca di  conquistatori e di imprese riservate agli uomini, si dedica a ciò che c’è di più importante e profondo per la Chiesa di sempre: la contemplazione.

 Tipo tanto mistico quanto concreto, vuole la comunità, ma non la massa di 140 suore del primo monastero in cui si trova; vuole la solitudine ma non l’estraniamento dalla vita della Chiesa e del mondo. Solo Dio le basta, ma tutto le interessa e di tutto gioisce o si preoccupa. Si mobilita per il suo Ordine Carmelitano, ma anche si addolora profondamente per il protestantesimo che devasta l’Europa e per gli indiani d’America umiliati e sfruttati dai colonizzatori.

 Desiderosa di solitudine, si impegna in viaggi spossanti sulle vie impervie e assolate della Spagna di allora, muovendosi per settimane su lente e incerte carrette e sfidando tremendi pericoli. Le sue peripezie,  i suoi progetti e propositi di fondatrice li  affiderà con grande efficacia al libro delle Fondazioni. Deve trattare con personalità d’ogni rango, deve firmare contratti  con affaristi  ora affidabili e ora furbastri, comportandosi da  occhiuta affarista, come ricorda a suo fratello Lorenzo piuttosto ingenuo.

 Scrive uno sterminato numero di lettere, in gran parte perdute,  rivolgendosi anche al re Filippo II. Ma gli scritti maggiori che la rendono famosa e affascinante sono il Libro della vita, il Cammino di perfezione e il Castello interiore, che è il capolavoro della letteratura mistica del secondo millennio. Lo scrive velocemente nel 1577 in mezzo a enormi difficoltà e prove esterne, senza però farvi nulla trasparire, tanta è la sua capacità di autocontrollo e di dominio della materia che tratta.

La riforma che ella inizia nel 1562 è un’idea non propriamente sua, ma la fa sua; e le sue amiche dell’Incarnazione la eleggono a loro guida naturale e ovvia. Ma cosa si propone con la  riforma? Uno stile di maggior solitudine,  di prolungata preghiera, di approfondimento del mistero cristiano, recuperando anche il rigore nella primitiva Regola carmelitana, benché a lei non interessi tanto il rigorismo quanto la decisione a donare a Dio tutto quello che una persona può dare in umiltà e carità.  

Riesce a coinvolgere in questa avventura  un giovane fraticello, S. Giovanni della Croce, che all’inizio è suo discepolo e poi suo maestro. Quell’avventura non è che piaccia molto né a quelli del suo Ordine né a quelli di fuori.  Sarà con la sua santità  e la sua tenacia che potrà fondare sedici nuovi monasteri  e soprattutto accendere nel cuore di tante persone un sentimento di somma confidenza e insieme di sommo impegno con Cristo. Muore il 4 ottobre 1582, lieta di potersi definire “figlia della Chiesa”. Papa Paolo VI nel 1970 la dichiara “dottore” della Chiesa, “ maestra e madre degli spirituali”:  prima donna a ricevere questo titolo solenne.

P.  Rodolfo Girardello ocd

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