Sui luoghi di Focherini, ricordo e riconoscenza

A pochi giorni dalla memoria liturgica di Odoardo Focherini, l'Azione cattolica diocesana ha voluto visitare i luoghi di vita e di martirio di questo beato carpigiano di origini trentine morto nel 1944 nel campo di concentramento di Hersbrück.

Sabato 14 giugno, accompagnati da Maria Peri – figlia della figlia minore di Odoardo, Paola – abbiamo percorso le strade e i luoghi della vita e degli affetti di Focherini, che nelle parole e nel ricordo famigliare della nipote abbiamo visto camminare con passo veloce verso la stazione per andare a lavorare come assicuratore tra Carpi, Modena, Bologna e Ferrara – lavoro che lo ha aiutato a intessere i rapporti umani sul piano della correttezza e del dialogo – poi verso Bologna per l'attività di giornalista presso l'Avvenire d’Italia, poi con passo allegro a casa per giocare con i sette figli, poi ancora con passo veloce per incontrare gli amici dell'Azione cattolica, della San Vincenzo, della filodrammatica, della società sportiva ciclistica. Passi ed entusiasmo non frenati dai limiti imposti dal regime fascista, che anzi lo ha spronato a vivere più intensamente da cittadino responsabile, cristiano consapevole, marito devoto e padre affettuoso, portando il suo sorriso coraggioso prima ai molti ebrei che ha salvato segretamente, poi ai deportati politici tra cui è stato imprigionato.

Gli echi di quei passi ancora risuonano forti nel cuore della sua famiglia e di chi oggi percorre con gli occhi lucidi e sgomenti le stanze della memoria del museo dei deportati di Carpi, dove tra tante frasi di deportati incise sui muri – monito e testimonianza di umanità, dignità e speranza – in un angolino appartato si legge la ragione del sacrificio di Focherini: “Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non aver fatto abbastanza per loro. Se non di non averne salvati in numero maggiore.” In questa affermazione trova senso il mettere a rischio la famiglia amata per degli sconosciuti perseguitati da un regime che non perdona chi si oppone; il morire a 37 anni lasciando sola l'amata moglie con sette figli; il credere nella vita e in Dio in condizioni degradanti e disumane.

Nel campo di concentramento di Fossoli, gli alberi hanno riempito gli spazi della tragedia e della desolazione, ma nulla riesce ad attutire l'impatto delle testimonianze raccolte nella baracca ricostruita. E per la figlia Paola Fossoli quei viali spogli e quei ruderi cadenti sono il cimitero di un padre che non ha ricevuto sepoltura, di cui sono rimaste solo le lettere, i vestiti e la fede nuziale (che è diventata preziosa reliquia esposta nell'antica chiesa della Sagra, una delle poche strutture lasciata indenne dal terremoto del 2012).

Per tutti noi restano la memoria e la riconoscenza per l'esempio di umanità vera, per quel sentiero tracciato in terre aride dove la santità è fiorita e continua a brillare come luce che nulla e nessuno può offuscare.

Il pellegrinaggio associativo si è concluso a Modena, con la visita alla chiesa di Cristo Redentore, che incarna nella struttura architettonica l'ideale di una Chiesa che accoglie tutti, che serve, che agisce con carità e che fa incontrare la comunità con la luce del Cristo che abbraccia e salva ogni uomo che lo avvicina. Un altro modo per testimoniare una Chiesa viva e pienamente inserita nel tempo e nella storia, vicina ai poveri e agli ultimi, a chi cerca salvezza e gioia vera.

A.R.

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