Sulla strada

Intervista a Riccardo Pedrotti e Mattia Vanzo, che domenica 23 novembre diventeranno nuovi diaconi della Chiesa trentina

Con l'immagine di una strada, a volte faticosa e insidiosa ma ricca di significato e bellezza nel suo tendere a qualcosa di alto, Riccardo e Mattia ci raccontano la loro scelta di diventare diaconi, dopo gli anni di studio in seminario, che li porterà, in giugno, all'ordinazione sacerdotale.

Riccardo Pedrotti, della parrocchia di S. Marco in Marco di Rovereto, e Mattia Vanzo di Moena, della parrocchia di S. Vigilio, saranno ordinati diaconi dall'arcivescovo Luigi Bressan domenica 23 novembre in Duomo, alle ore 15. Ripensando alla loro esperienza e alla loro vocazione, descrivendo la vita in seminario (a cui la diocesi dedica proprio la Giornata di domenica), parlando di sinodalità, di famiglia e di giovani e riflettendo sul servizio che li aspetta, i due giovani trentini si raccontano ai microfoni di radio Trentino inBlu.

Cominciamo a conoscervi, partiamo dalla vostra storia: quali sono le tappe più significative della vostra esperienza di fede?

Riccardo: Sicuramente mi ha segnato la frequentazione del gruppo di Azione cattolica a Rovereto, nella mia parrocchia. Lì mi sono formato, ho iniziato a conoscere meglio il Signore, ho mosso i miei primi passi e sono maturato nella fede e come uomo. Questa esperienza mi ha condotto all'entrata in seminario.

Mattia: Per me è stata molto significativa, fin da bambino, la figura del parroco, don Enrico. È stato per me l'esempio di una vita semplice, umile, ma appassionata per il Vangelo e per l'uomo. Durante le superiori sono arrivati i dubbi e le fatiche: non capivo se Dio mi stesse realmente chiamando al sacerdozio, da una parte c'era la figura carismatica del mio parroco, dall'altra anche molte contrapposizioni che mi dicevano che la vita del prete è sprecata e inutile. Crescendo ho capito che volevo provare e scommettere su questa forza, questo desiderio che sentivo dentro di me.

In questo cammino è stato importante il seminario: come descrivereste questi anni in tre parole?

Riccardo: Tre aspetti della mia persona che in seminario ho potuto coltivare… Dono, innanzitutto: mi sento una persona generosa e in questi anni ho vissuto profondamente questa dimensione. Misericordia, perché prima di tutto mi sento un uomo che ha sperimentato la misericordia del Signore, il suo perdono per le mie fragilità e l'essere accolto per come sono; poi perché mi sento chiamato ad usare misericordia verso gli altri. Infine gioia: mi sento una persona solare, colorata.

Mattia: La prima è dare ragione. Mi piace molto la frase di San Pietro che dice “Date ragione della speranza che c'è in voi”. Per me il seminario è stato un luogo per dare ragione di quello che sentivo e volevo, di quella speranza che mi attraeva, di quello che il Signore mi stava chiedendo. Seconda, volto: la ricerca del volto di Dio nella storia e nella quotidianità della mia vita, la ricerca di un volto dell’uomo. Terzo, comunità: per me il seminario è il luogo dove ho sperimentato realmente cosa vuol dire la comunità, vivere insieme, condividere esperienze importanti e un cammino spirituale di fede.

Adesso diventate diaconi: nel vostro cammino vocazionale questo non significa solamente maturare un titolo. Come intendete il servizio a cui siete chiamati?

Riccardo: Se penso al diacono penso ad una persona che si dà, in mezzo alla gente, offrendo appieno il suo tempo e le sue energie: un uomo che si fa accanto alle persone nella vita di tutti i giorni, nelle gioie così come nei dolori. È qualcosa di arduo, ma penso sia proprio questo: essere in mezzo alle persone e testimoniare con la propria vicinanza il volto di Gesù Cristo. Una testimonianza semplice e umile del Vangelo.

Mattia: Quando parliamo del diaconato ritroviamo spesso l'immagine di Gesù che lava i piedi ai discepoli. Mi piace pensare al diacono come ad una persona che non fa nulla di eccezionale o eclatante, ma che sa mettersi in ginocchio di fronte alle persone che incontra per ammirare e fare sue le bellezze dell'uomo e le sue fragilità, portando nella sua vita la vita degli altri, per portarla a Dio.

In questi giorni la Chiesa di Trento vive l'Assemblea sinodale. In verità non è sempre facile camminare insieme nella vita ecclesiale… Cosa ne pensate?

Riccardo: È proprio vero, si hanno teste diverse e tante volte si fa veramente fatica a parlarsi, ad avere l'umiltà di fare un passo indietro per mettersi d'accordo e trovare una soluzione condivisa. Penso che la sinodalità, un'assemblea sinodale in questo caso, voglia esprimere proprio questo: il tentativo di mettersi insieme, parlarsi con franchezza, cercando una via comune per il bene della Chiesa e del popolo di Dio, perché la testimonianza di Cristo possa essere viva anche in tempi come questi.

Mattia: Il tema della sinodalità, amplificato molto dal Sinodo sulla famiglia, è una questione fondamentale anche e soprattutto per la nostra Chiesa diocesana. Quando abbiamo l'occasione di poterci incontrare e di condividere idee, sensazioni ed emozioni, è sempre un momento arricchente, al di là di qualsiasi risultato o finalità. Solo il semplice ritrovarsi per condividere è espressione di comunione ed esempio anche per la società civile: saper dialogare all'interno di una comunità non è cosa scontata al giorno d'oggi.

Pochi giorni fa il cardinal Bagnasco, nella prolusione all'assemblea della Cei, ha ritratto un Paese in difficoltà rassegnato al non lavoro. La crisi, ha detto, raggiunge la famiglia, la scuola, la cultura. Secondo voi, da che parte bisogna cominciare a ricostruire?

Riccardo: Io sono ottimista: occorre guardare ai piccoli germi di positività che ci sono nella società, e partire da lì per “ricentrarsi” sul messaggio evangelico e per capire cosa il Signore vuole da noi. Uno di questi germi positivi è la famiglia: è vero che si dice che la famiglia è in crisi, ma essa è portatrice nella vita di tutti i giorni di valori positivi, ad esempio l’unità, il saper stare insieme, che sono presenti anche nelle persone che magari non sono cattoliche praticanti.

Mattia: Dice una frase di mons. Bregantini: “Non abbiamo una verità da difendere, ma una testimonianza da offrire”. Credo che dovremmo ricordarcelo sempre, sono il nostro esempio e le nostre azioni a fare la differenza. Come diceva Riccardo: riconoscere la bellezza che c’è e le gioie che abbiamo, difenderle nel vissuto umano, e non solo nei concetti, facendo nostra la vita cristiana. Allora riusciremo ad offrire una testimonianza diversa. La prima risposta che mi è venuta in mente è stata: puntiamo sui giovani. Ma forse, invece, dovremmo partire puntando sugli adulti, perché siano in grado di offrire ai giovani la testimonianza di una vita bella, di qualcosa che ha valore. Solo così avremo un cambiamento…

Un'ultima curiosità: qual è la metafora della vita che vi capita di usare più spesso?

Riccardo: Il cammino forse. La vita come un cammino, che a volte è una strada asfaltata, a volte è un sentiero irto… qualche volta si fa fatica a procedere, qualche volta si va più spediti. Penso al Signore come mio compagno in questo cammino, che è sempre lì accanto a me ed è pronto a rialzarmi qualora io dovessi cadere.

Mattia: Anche la mia è simile: la vita è guardare in alto e salire una montagna. Siamo abituati a guardare in basso, ma, forse perché vengo da Moena, dovremmo ricordarci che in alto c'è qualcosa di bello da ammirare, un obiettivo a cui guardare. Per raggiungere la vetta c'è una salita: si fa fatica ad andare in montagna, si suda, ci sono dei momenti che ti fermeresti volentieri, però quando arrivi in cima ammiri il creato, e tutto ti sembra infinito. Credo che la vita sia un po' questo: salire, ogni tanto fermarsi, ogni tanto arrivare in cima, ammirare quella bellezza, accorgersi che ci sono cime ancora più alte che si possono raggiungere, e allora rimettersi in cammino.

A cura di Diego Andreatta e Elisabetta Girardi

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