“Maltempo, è cambiato il paesaggio”. Parla Romano Masè, Servizio Foreste Pat

I danni del maltempo all’ambiente, ma anche a tutta la filiera del legno. Il punto con il dirigente generale della Pat, Romano Masè

Danni all’ambiente e al paesaggio, ma anche all’intera filiera del legno: il forte vento che ha colpito a fine ottobre tutta l’Italia del Nord con raffiche che sono state stimate fino ai 140 km orari ha lasciato ferite profonde. L’ondata di maltempo ha distrutto 1-1,2 milioni di metri cubo di bosco in Alto Adige, 2 milioni in Trentino (pari a ben 4 volte il prelievo provinciale annuo). ,Per il Trentino, il danno complessivo considerando le voci “foreste, agricoltura e bacini montani” è stimato tra i 90 e i 100 milioni di euro, calcolando la spesa per la ricostruzione del patrimonio forestale andato perduto (50 milioni), i mancati introiti causati dal deprezzamento del legname e dai costi di rimozione (60 milioni), il ripristino delle strade forestali (10 milioni), i danni in agricoltura, su stalle malghe, pescicolture… (5 milioni), e quelli ai bacini montani (12 milioni).

Nei prossimi due anni ci sarà una quantità di legname disponibile – ma sarà molto complesso, difficile e costoso andare a recuperarlo, posto che ci sarà da sistemare le infrastrutture: molte strade forestali sono franate -, per poi averne scarsità negli anni a venire. E’ prevedibile che salteranno le pianificazioni strategiche ed economiche fatte negli anni passati, compresi tanti posti di lavoro nel settore delle utilizzazioni boschive: un pericolo per il tessuto sociale della montagna, rileva Antonio Brunori, segretario generale di PEFC Italia, l’organizzazione non governativa che certifica la gestione sostenibile delle foreste e della filiera dei prodotti forestali.

Ne parliamo con Romano Masè, dirigente generale del Dipartimento Territorio, Agricoltura, Ambiente e Foreste e Capo del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento.

A quanto ammonta il danno ai boschi trentini?

“La nostra prima stima è di circa 2 milioni di metri cubi di materiale legnoso gettato a terra dai forti venti, su una superficie pari a circa 7 mila ettari. E’ un danno importante, che incide pesantemente sugli aspetti economici legati alla gestione forestale da parte dei proprietari pubblici e privati, ma anche dal punto di vista ambientale e paesaggistico”.

Quali saranno le prime azioni da intraprendere?

“Abbiamo costituito una task force che coinvolge il Consorzio dei Comuni, le Asuc (associazioni di uso civico, ndr), la Magnifica Comunità di Fiemme, la Regola feudale di Predazzo, l’Associazione artigiani e l’Ordine degli agronomi forestali per garantire un approccio di sistema ed elaborare un piano di gestione di questa emergenza che avrà una durata piuttosto lunga”.

Come si procederà?

“In una prima fase si recupererà il legname. Contiamo che le imprese di utilizzazione e di trasformazione locali siano in grado di gestire questo evento così estremo. Poi ci sarà la fase di ricostruzione, con i costi che comporterà”.

La prima urgenza?

“Dovremo portare via dai nostri boschi quanto più materiale possibile, per evitare attacchi parassitari nei prossimi anni, a scapito della parte sana del patrimonio forestale”.

Ci sarà una quantità elevatissima di legname disponibile, sarà però costoso andare a prelevarlo, e oltre tutto si abbasserà il suo valore economico.

“Ciò pone grossi problemi di bilancio per i proprietari dei boschi, sia pubblici sia privati. Bisognerà mettere in conto il prevedibile mancato reddito che caratterizzerà nei prossimi anni il bilancio di molti Comuni”.

Quanto non potrà essere utilizzato come legname da opera finirà come legna da ardere, soprattutto come cippato nelle centrali di biomassa. Il mercato sarà in grado di assorbirlo tutto?

“Ci sono dei limiti di assorbimento e occorrerà cercare sbocchi alternativi”.

La selvicoltura trentina, si è sempre detto, ha fatto scuola. Non c’è proprio nulla da rimproverarsi rispetto alle scelte di gestione dei boschi trentini, di fronte a quanto accaduto?

“Si è trattato di un evento estremo che non ha fatto sconti. La selvicoltura trentina, improntata ad un approccio naturalistico, ha fatto scuola fin dagli anni Cinquanta. Punta sulla diversificazione delle specie, sull’articolazione strutturale e sulla rinnovazione, la sostituzione degli alberi adulti con piante giovani della stessa specie. In questi decenni sono stati strutturati popolamenti vitali, sani, robusti. Ma di fronte a eventi di questa portata…”.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina