Tre “A” per contenere la burocrazia

Il taglio degli oneri burocratici “dovrebbe essere il primo punto di un qualsiasi programma di governo”, ammonisce Sabino Cassese

«La burocrazia nasce da tutti noi?», ci siamo chiesti su Vita Trentina del 14 ottobre, alludendo a una carenza di senso civico, cui l’autorità pubblica supplisce impropriamente con un soffocante intreccio di lacci e lacciuoli. In effetti c’è nel corpo sociale una questione di autodisciplina e di responsabilità. La domanda di nuovi interventi e servizi pubblici è continua, ed è difficile esaudirla senza aggiungere nuovi rami al ginepraio di norme e adempimenti, che sarebbero comunque molto più agevoli, se la gente accettasse anche i «no», senza liti pretestuose o appelli al politico compiacente di turno. È un circolo vizioso. E non lo si spezza facendo tutt’un fascio fra un gruppo di lavativi e la maggioranza di lavoratori diligenti e onesti che mandano avanti molti servizi pubblici indispensabili. La sintesi di tutto ciò è che il gravame burocratico resta un triste primato del nostro Paese.

Che fare allora? In passato sono stati fatti passi avanti e coltivate idee da rivalutare. Il principio del silenzio-assenso, i termini per provvedere, le conferenze di servizio, le autocertificazioni, il divieto di chiedere documenti già in possesso di altri uffici pubblici e le procedure on-line ne sono esempi. Utili ma non decisivi. «La burocrazia» è stato il primo richiamo di Confindustria Trento al nuovo Presidente della Provincia. Servono rimedi risolutivi, forse anche sfidanti per i canoni tradizionali del rapporto pubblico-privato. Fra le tante, proviamo a immaginare tre piste di lavoro, che potremmo definire le tre «a».

1. «Arrestare», nel senso di bloccare la proliferazione di oneri burocratici. Nessuna norma dovrebbe vedere la luce senza una valutazione positiva dell’impatto procedurale. Il rispetto del divieto di creare «nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi… senza contestualmente ridurne o eliminarne altri» (legge 180/2011) dovrebbe essere assoluto. Dirigenti e funzionari andrebbero incentivati in ragione della quantità di adempimenti che riescono a far cancellare.

2. «Affiancare», cioè mettere a disposizione delle nuove iniziative imprenditoriali un incaricato (a cura di un soggetto pubblico, ad esempio Trentino Sviluppo) che si sostituisca all’imprenditore nel compilare domande e moduli, semplificando il lavoro sia al proponente (impresa) sia al decisore (ente). Sarebbe una sorta di «sportello unico» interattivo, che richiede personale capace, qualche pregiudizio in meno e tanta fiducia da ambo le parti: il pubblico che agisce per conto del privato non è una soluzione facile da attuare.

3. «Affidare», nel senso di sperimentare formule di autodecisione e di controllo delegate alle parti sociali e imprenditoriali: una situazione fiduciaria inversa alla precedente e altrettanto bisognosa di uno sforzo innovativo sul piano giuridico e pratico. Quest’idea è emersa senza seguito qualche anno fa in un’assemblea di categoria, visto che un’impresa inadeguata o fuori regola danneggia per primi proprio gli imprenditori seri e i lavoratori.

Ma la precondizione di ogni rimedio è che il taglio degli oneri burocratici «dovrebbe essere il primo punto di un qualsiasi programma di governo», come ammonisce il giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese. Altrimenti c’è sempre qualcosa di più importante, che – così si pensa – val bene qualche carta in più. Superare questo modo di pensare è la sfida vera.

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