Alleanze da ricucire

La lunga vertenza lascia nella comunità una profonda ferita e molte domande

L’anno nuovo comincia con le ottanta lettere di licenziamento del Sait. Nonostante l’accordo sindacale sottoscritto in extremis il 20 dicembre, questa lunga vertenza lascia nella comunità trentina una profonda ferita e molti interrogativi. Due su tutti: era proprio necessario? Quale futuro per l’identità cooperativa trentina?

1. Il Sait rivendica di non essere in crisi, ma di aver bisogno di aumentare la produttività, per ragioni di mercato e per la particolare struttura della distribuzione cooperativa. Le zone «buone» sono assediate dalla concorrenza: come ricorda il Presidente Renato Dalpalù, già nel 2015 per ogni mille trentini vi erano a disposizione 365,3 mq di negozi, contro i 303,4 della Lombardia e i 284,5 della media italiana, manco fossimo il paese di Cuccagna. C’è poi la concorrenza interna da parte di una cooperativa di dettaglianti. Quanto ai problemi di struttura, il Sait deve spesare una doppia rigidità: da un lato, l’investimento fisso nel polo logistico per una compagine sociale variabile; dall’altro, la dispersione dei punti vendita (con 226 piccoli negozi in cui il Sait racimola appena il 20 per cento del proprio fatturato) che presidiano la periferia, ma pesano sui costi aziendali.

La scelta di recuperare competitività tagliando posti di lavoro è stata oggetto di quattro accordi sindacali, per cui è stata quanto meno meditata e sofferta, suscitando una vasta mobilitazione a favore dei lavoratori, con misure di sostegno e di ricollocazione, quali la «mossa» finale della Federazione per garantire un futuro lavorativo a 20 esuberi. Ciò non ha risparmiato al Sait e a tutto il sistema cooperativo un lungo castigo politico-mediatico, con critiche e giudizi, anche sommari, di inusitata durezza un po’ per tutti, salvo uno strano silenzio su alcuni recessi dal consorzio in un momento di sacrifici per i lavoratori.

2. Da questa vicenda emerge comunque la necessità di una cooperazione sempre più coesa attorno ai propri valori fondanti, che la spingono verso il mercato ma non si fanno mercificare. Su quest’idea si basa quello che l’ex Presidente Giorgio Fiorini chiamava orgogliosamente il «sistema Sait», una trama di alleanze che fa grande un insieme di piccoli, in cui spiccano il patto sociale che unisce le famiglie cooperative in una rete capillare a servizio del territorio, la rete lunga creata dall’alleanza con Coop Italia e il ponte fra la piccola e la grande distribuzione lanciato tramite i Superstore.

Questa trama è un impagabile valore identitario, insidiato oggi da una certa freddezza, che sconta una carenza di visione sulle potenzialità dei legami di sistema. Rinsaldare queste alleanze è invece la chiave del futuro per la distribuzione cooperativa, che potrebbe essere già pronta per le prime quattro mosse: a) attuare il piano di rilancio del Sait illustrato nei mesi scorsi, che comprende ammodernamenti, marketing e rifocalizzazione del personale; b) istituire forme concrete di partecipazione dei lavoratori alla gestione del consorzio; c) coinvolgere i soci consumatori e la clientela tramite i nuovi mezzi di comunicazione sociale; d) definire regole chiare di fedeltà al marchio Coop e ambiti di collaborazione con marchi concorrenti.

Tutto ciò senza perdere di vista, con l’aiuto dell’ente pubblico, la ricollocazione degli esuberi, perché quella con il lavoro è la prima alleanza da ricucire.

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