I molti (anche troppi) satelliti del pianeta Provincia

44 «stelle» e una miriade di satelliti. Benché gestiscano servizi essenziali, questi soggetti vengono spesso criticati

Uno dei temi spinosi nell’agenda del governo provinciale riguarda gli «enti strumentali», che da sempre attirano sospetti. È una costellazione complessa, fatta di 44 «stelle» e una miriade di satelliti: 14 enti pubblici (come l’Azienda sanitaria, il MUSE e il MART), 9 fondazioni (come FBK o FEM) e 21 società di capitali – di cui 13 a controllo pubblico (quali Informatica Trentina, Trentino Network, Patrimonio del Trentino, Cassa del Trentino, ITEA, Trentino Sviluppo, Trentino Trasporti) e 8 partecipate di minoranza (come Autobrennero e Mediocredito) – le quali a loro volta partecipano in altre 125 società.

Benché gestiscano servizi essenziali, questi soggetti vengono spesso criticati: sono troppi, eludono i controlli, spiazzano il privato, duplicano le strutture. Preoccupazioni condivise anche dal legislatore (sia provinciale che statale) intervenuto più volte, specie sulle società, imponendo programmi di riordino, per sforbiciare una presenza pubblica ritenuta oggi eccessiva. Il riordino è un cantiere aperto.

Bisogna peraltro ricordare che questi enti nascono da esigenze di snellezza, specializzazione, professionalità e accesso ai mercati per le quali la struttura burocratica è stata ritenuta dalla legge non idonea. Nei casi, ad esempio, di trasporti pubblici, assistenza sanitaria, edilizia sociale, gestione di reti, patrimoni e lavori pubblici anche le norme più recenti consentono la costituzione di società pubbliche. L’ente strumentale, poi, può a propria volta avvalersi di aziende private, evitando di spiazzare il mercato, anzi stimolandolo; in questo caso è tenuto ad applicare la disciplina pubblica sull’attività contrattuale, mediante gare d’appalto. Trasparenza, imparzialità, limiti di numero e di spesa sono imposti anche per il personale e per gli organi collegiali.

La presunta elusione dei vincoli pubblicistici è quindi illusoria; e non solo per il rapporto ente-privati, ma anche per quello a monte fra istituzione ed ente strumentale. La prima può infatti affidare servizi senza gara d’appalto soltanto a società totalmente pubbliche, dette «in house» («in casa»), le quali vengono controllate alla stregua dell’amministrazione pubblica (si parla infatti di «controllo analogo») e che a questa devono riservare almeno l’80 per cento del proprio fatturato. Così sono le più note società provinciali.

Infine, per scongiurare la duplicazione degli uffici, è nato il Centro Servizi Condivisi (CSC), un consorzio fra le 11 società in house, per le quali gestisce in modo trasversale i controlli interni, gli affari legali e il supporto amministrativo-contabile. Questo servizio, che si prevede di arricchire, è stato poi esteso ad altri 5 soggetti, compresa la stessa Provincia, che viene aiutata in funzioni strategiche, come il riassetto delle società e il monitoraggio di progetti pubblici. Il CSC svolge oggi in modo uniforme 16 tipologie di processi, tanti quanti sono gli enti coinvolti. È un ente in più, ma utile, perché snellisce gli altri sedici.

L’orbita degli enti strumentali è dunque in continuo aggiustamento. In futuro, anche per evitare collisioni sulla rotta del decentramento agli enti locali, saranno di certo meno numerosi. Peraltro già oggi è possibile migliorarne l’efficienza, come testimonia la nascita del CSC. Perché il senso degli enti strumentali è la razionalità dell’azione pubblica. Non altro. Nel crearli e nel sopprimerli.

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