Il ticchettio della creatività

Nel laboratorio di Marcello Doff Sotta in via San Martino a Trento. Dai mobili antichi alla linea orologi “Love bot”, l'arte antica dell’intarsio si coniuga con l'inventiva moderna

“Love bot”, dove “love” sta per amore e “bot” per botte, è un'effervescente linea di orologi ideata da Marcello Doff Sotta, un artigiano restauratore, nato nel 1961 e cresciuto alla scuola di Franco Gilmozzi, deceduto tre anni fa, già falegname roveretano di Fortunato Depero.

Doff Sotta opera in San Martino a Trento. Le doghe di botti dismesse rappresentano la materia prima delle sue creazioni artistiche, gli orologi a muro, oppure da tavolo, che di effervescente oltre al lieve profumo di vino di cui sono impregnate le assicelle di rovere, contengono una certa esaltazione dell'inventiva e della creatività che il maestro restauratore Doff Sotta ha nelle vene come eredità di sangue della propria famiglia primierotta, finita negli annali della storia, con intere generazioni di falegnami detti “Martinoti”, per la lunga sequela di progenitori col nome di Martino nell'albero genealogico. Il soprannome per puro caso, in Marcello, mantiene viva la tradizione anche dal punto di vista logistico, dopo il suo insediamento con la bottega, anni fa, in via San Martino, 26, all'interno di uno stabile dell'Itea.

Marcello ha dovuto staccarsi dalle radici di famiglia ad Imer, a causa dell'improvvisa morte del papà, Albino, quando di anni ne aveva appena 9, con un altro fratello e due sorelle, finiti sulle spalle della mamma, Basilia Pedrini, tutt'ora vivente, di Lasino, la quale, vedova, si è vista costretta a tornare dai congiunti per tirar su la nidiata di orfanelli.

Albino e Basilia furono tra i primi ad aderire al gruppo di Chiara Lubich, nell'immediato dopoguerra, in occasione della prima mariapoli nel Primiero. “Mamma – racconta l'artigiano – è ancora fedelissima al movimento dei Focolari”. Il padre era il perno della dinastia di falegnami Doff Sotta, progettista ed esecutore di lavori in legno, promotore della chiesetta alle Vederne dedicata alla Madonna della neve, realizzata nel 1947, quale ex voto dei reduci dalla guerra.

Marcello rievoca volentieri gli anni della fanciullezza concedendosi una breve pausa nel lavoro. Al momento dell'incontro era intento infatti a rimuovere con la carta vetrata la vernice obsoleta di una cassapanca del 1700 con la bottega zeppa di mobili vecchi e bauli d'anteguerra, di quelli utilizzati dagli emigranti per lunghi viaggi e, ammassate sul pavimento, doghe di botte “esauste”, cioè a fine carriera.

Sugli scaffali gli attrezzi del mestiere quasi tutti da azionare a forza di mani e braccia: scapelli, trapani, pialle, cacciaviti, sgorbie.

Gli orologi di legno e di altri oggetti destinati al disuso e a qualche cucina economica rappresentano l'ultima trovata di Marcello Doff Sotta costretto a vedersela con la crisi anche del proprio settore. Il restauro è penalizzato come altri comparti dell'attività artigiana. La gente non spende né per acquistare, né per restaurare l'antico mobilio di famiglia.

I suoi gioielli che non si vedono in bella mostra dai tradizionali orologiai, forse perché ingombranti, sono frutto della fantasia “con legno da recupero – spiega Marcello – per uscire dall'attesa senza frutti e dall'inedia, andando per fiere e mercati, aiutandosi con un lavoro parallelo. In questa maniera si galleggia”.

L’artigiano figurava, recentemente, fra gli espositori, nel quartiere ex Michelin, in una lista di valenti artisti artigiani locali. Le doghe sono ferme nel tempo, indubbiamente, anche se trasformate in elementi decorativi. Il meccanismo elettronico che fa avanzare le lancette, invece, scandisce il passare delle ore, non ferma il tempo, come i più vorrebbero.

L'oriundo primierotto parla con orgoglio della professione perfezionata anche da autodidatta dopo il superamento del percorso scolastico concluso con il diploma acquisito nel 1980 presso l'Istituto d'Arte Alessandro Vittoria di Trento, al quale erano seguiti qualche anno da operaio ed altri da apprendista di esperienze nel settore del legno e del restauro in particolare, finanziati dalla Provincia a Rovereto. Qui incontra quale docente di falegnameria uno fra i più stretti collaboratori di Depero. Diviene così, per quasi un anno, il pupillo di Franco Gilmozzi, considerato dai compagni di scuola il garzone baciato dalla fortuna che deve però accontentarsi solo delle belle parole del maestro di bottega: “Io ti pago – gli aveva detto – con quello che ti insegno”. Dopo 8 mesi Gilmozzi ritiene di aver esaurito il suo compito e gli dà il benservito, mantenendo però anche per il resto degli anni, simpatia e amicizia per un discepolo che aveva tanta voglia di camminare con le sue gambe. “Per me Gilmozzi – confessa Marcello – è stato un grande insegnante non solo della tecnica, ma anche dell'approccio artistico, filosofico e umano alla professione di falegname e poi a quella di restauratore”. “Ha fatto le veci di mio padre”. “Sua moglie di soppiatto veniva ad esternare la soddisfazione del marito per il mio apprendistato”.

Dopo un altro intervallo di lavoro autonomo, il Doff Sotta lascia il laboratorio in Cristo Re ed inaugura il suo centro di restauro, nel 1986, in via San Martino, praticando le diverse tipologie del restauro, affinandone talune con la pratica. Si fa conoscere ed apprezzare tanto da meritare commesse anche pubbliche come il restauro degli arredi del Teatro Sociale e il ruolo di insegnante in corsi di specializzazione per apprendisti.

Il lavoro di cesello sull'intarsio è la sua specialità. E' l'unico ramo dei “Martinoti” sopravvissuto in un luogo di residenza diverso da quello originario, ma con le stesse regole, la stessa inventiva, al limite della giocosità “montanara”, come attestano gli orologi da parete e da tavolo, costruiti attraverso il recupero di vecchi legni, destinati allo scarto. Si tratta alla fin fine di un gioco, di una sfida creativa, come ammette lo stesso costruttore, che è diventata un'attività parallela a quella ufficiale, che lo fa sorridere perché il termine “scarto” è divenuta una parola chiave nel messaggio di Papa Francesco. Anche se Marcello si definisce un cristiano “alla bell’e buona” in piazza San Pietro, con il Papa affacciato alla finestra per l'Angelus, si è sentito dentro una “vampata” che non dimenticherà mai. Ed anche un legno, specie se antico, reintepretato, può essere un simbolo di umanità risanata e laboriosa.

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