Lo strano destino dei contributi alle imprese

Poco amati dalla letteratura, se ne parla quasi sempre in negativo

L’assessore allo sviluppo economico, ricerca e lavoro della Provincia Autonoma di Trento, Spinelli, ha annunciato modifiche al sistema degli incentivi alle imprese, per migliorarne le ricadute sul territorio. Lo spunto sono stati i lusinghieri risultati di Trentino Sviluppo (24 imprese provenienti da altri territori già insediate nel primo semestre) grazie a un «habitat ideale» per le aziende innovative, ma anche ai contributi della Provincia.

Già, i contributi. Strano destino il loro. Poco amati dalla letteratura, se ne parla quasi sempre in negativo, come qualcosa da cambiare, se non un puro spreco, salvo scoprirne di tanto in tanto l’attrattività. Lo si vede anche dalla «legge unica sull’economia», la mitica L.P. n. 6 del 1999, tormentata negli anni da una lunga sequenza di modifiche. Le ultime sono fresche di stampa, inserite dalla «legge semplificazione» del giugno scorso, per snellire alcune istruttorie, e dalla legge di assestamento del bilancio, per agevolare borse di dottorato innovative e l’accesso al credito. La legge-base sulla politica degli incentivi è dunque un cantiere aperto, sintomo di uno scontro di luoghi comuni – «questi contributi non servono», «meno male che ci sono» – su cui tentiamo di fare un po’ di luce.

Gli aiuti erogati a singole imprese in forma di trasferimento monetario, bonus fiscale o credito agevolato sono di vario tipo, ciascuno con presupposti e dinamiche molto diverse, ma accomunati da un’assillante incognita: l’efficacia. Per averla, un aiuto pubblico dovrebbe infatti soddisfare almeno tre condizioni. La prima è la reale capacità di modificare i comportamenti dell’azienda beneficiaria. «Un sussidio è efficace solo se induce attività addizionali, cioè non finanzia attività che l’impresa farebbe comunque» sentenzia il rapporto Giavazzi (2012) che suggeriva al governo Monti di sostituire gran parte degli incentivi alle imprese con una riduzione generalizzata della pressione fiscale. La Giunta provinciale del tempo, pur riducendo l’Irap, non si entusiasmò di questa radicale proposta, tanto meno nell’imperversare della crisi. La Provincia, per stimolare investimenti addizionali, si è affidata invece al principio di selettività, privilegiando nella fruizione e nella misura degli aiuti le iniziative di maggior impatto, qualità e rischio (progetti di ricerca, attività sostitutive, crescita dimensionale, innovazione, reti d’impresa, ecc.) in cui l’incentivo appare più utile.

La seconda condizione è un positivo effetto sulla redditività dell’impresa. Il rischio è che il progetto agevolato si riveli poco performante o troppo oneroso. In realtà accurate verifiche sul merito di credito (stato di salute dell’azienda), sul merito di progetto (idoneità a conseguire l’obiettivo) e sul merito d’incentivo (priorità e vincoli normativi) possono ridimensionare questo rischio.

La terza condizione è la più sfidante: l’idoneità dell’impresa sussidiata a generare benefici sociali fruibili sul territorio. L’aiuto pubblico, infatti, è concesso per conseguire un obiettivo privato (l’investimento a scopo di profitto o di servizio ai soci), che soltanto in via indiretta soddisfa un interesse pubblico (come l’occupazione, la fiscalità, l’indotto, le nuove conoscenze), ma con possibili sproporzioni costo-beneficio o traboccamento in altri territori. Questa condizione, anziché lasciata agli automatismi di mercato, può tuttavia essere governata da accordi e clausole specifiche, di cui in Trentino s’è fatta una buona e originale esperienza. Ne parleremo prossimamente.

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