Moria dei meli

Nell’Almanacco agrario del 1908 si descrive una malattia che ha molte affinità con quella che da qualche anno preoccupa tecnici e frutticoltori

Si deve a Giambattista Vico, filosofo napoletano vissuto dal 1668 al 1744, la teoria dei corsi e ricorsi storici: nello scorrere dei secoli si assiste al ripetersi di eventi e situazioni soprattutto sociali ed economici.

A questa teoria abbiamo pensato giorni fa leggendo un articolo riportato nell’edizione 1908 dell’Almanacco agrario intitolato “La mortalità degli alberi da frutto nel territorio di Sigmundskron, Terlano e Gargazon”. L’autore è Carlo-Karl Mader, nato a Costanza nel 1847, entrato a far parte del corpo docente dell’Istituto di S. Michele nel 1877 di cui è stato direttore dal 1902 al 1909.

Durante la sua direzione, nel 1907, il vigneto dell’Istituto attirò l’attenzione non sempre benevola della comunità agricola del Tirolo meridionale a seguito del rinvenimento del primo focolaio di filossera. A Mader si imputò la colpa di avere introdotto il devastante pidocchio delle radici delle viti insieme con il materiale vivaistico importato dalla Germania proprio per studiare portainnesti resistenti alle punture dell’insetto.

Esperto in egual misura di viticoltura frutticoltura, continuò anche dopo il volontario ritiro in pensione, ad occuparsi soprattutto di frutticoltura.

L’accostamento con la “Sindrome della moria e deperimento del melo” di cui si scrive nel Rapporto 2012 del Centro per il trasferimento tecnologico della Fondazione Edmund Mach, viene spontaneo insieme all’idea di trovarci di fronte ad un caso evidente di corso e ricorso fitopatologico, anziché storico, a distanza di 106 anni.

I fatti: ”Nel corso della primavera 1906 e 1907 furono portati alla direzione dell’Istituto agrario ripetuti e insistenti lagni da diverse plaghe, segnatamente poi dalle sopraindicate, circa la mortalità che colpisce gli alberi da frutto, specialmente i meli e quelli a nocciuolo”.

I sintomi. “Parti aeree delle piante. Nei primi anni dopo l’impianto la vegetazione è normale, a poco a poco però subentra un lento deperimento, germogli deboli, corteccia in parte rugosa con bolle. Corpo legnoso spesso bruno-giallo. Radici. In generale non presentano nulla di particolare. Le radici più profonde hanno sovente le estremità guaste, ciò che rende l’albero meno stabile. Terreno e posizione. Gli alberi sono piantati per lo più in terreno sabbioso alluvionale, in posizione piuttosto bassa; si pretende però di aver osservato identiche apparizioni anche in posizioni alquanto più alte. Cure di coltivazione. Gli alberi vengono generosamente concimati, razionalmente trattati e durante l’estate ripetutamente irrorati. Supposizione. La causa del deperimento è da ricercarsi nel sottosuolo freddo che non permette una completa maturazione del legno e deve ascriversi all’azione del gelo”.

Per avere qualche maggiore lume, fu spedito materiale adatto alla i.r. Stazione agraria di batteriologia e per la difesa delle piante di Vienna, la quale dopo accurato esame si espresse nella seguente maniera: “Le pustole dei rami non si devono in ogni modo ascrivere all’azione parassitaria di organismi. Moltissimi caratteri dei tessuti sottostanti dinotano che il gelo è causa del deperimento”, firmato L’i.r. dirigente Kornauth.

Un esame rigoroso delle piante ammalate fu pure eseguito dal celebre fitopatologo dott. prof. Paolo Sorauer di Berlino. Il referto contiene una minuta descrizione delle alterazioni riscontrate a vista e al microscopio e si conclude con la seguente diagnosi: “In seguito ai risultati dell’esame devo dichiarare che la plaga intorno a SigmundsKron è in continuo pericolo di subire gravi danni in conseguenza del gelo. Si dovrà perciò lentamente influire in maniera che gli alberi coltivati possano raggiungere una completa maturazione del legno. Perciò corone più rade, evitando le generose concimazioni azotate come pure le abbondanti irrigazioni, procurando invece ripetute concimazioni con calce”.

La conclusione di Sorauer non si discosta molto da quella di Massimo Prantil, consulente agronomico della Fondazione Mach: “Fra le varie cause della moria la prevalente è attribuita a danni da freddo sia invernali che autunnali e primaverili, ma anche da piovosità intense nei periodi autunnali che portano ad un notevole ritardo delle piante nel mettersi a riposo vegetativo”.

Notizie dell’ultima ora. Sulla base dei risultati di un secondo monitoraggio compiuto su 8 macroaree frutticole del Trentino si sta definendo un progetto di sperimentazione in campo che però non potrà, per motivi burocratici, partire prima del 2015. Il prof. Antonio Bergamini, già direttore della Sezione trentina dell’Istituto sperimentale di frutticoltura di Roma (Sezione di Vigalzano di Pergine Valsugana), è disponibile a prestare la propria consulenza che egli stesso ritiene potenzialmente risolutiva.

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