Incendio Nicaragua: il paese brucia non solo metaforicamente

Il Paese brucia, non solo metaforicamente: la difesa dell’ambiente la miccia della protesta degli studenti

Nicaragua, Nicaraguita! Era il 1979 e il piccolo Nicaragua indicava una strada – liberarsi dal dominio nordamericano e insieme dal dittatore Anastasio Somoza -, una via autonoma all’indipendenza che fosse, al contempo, il riscatto delle classi popolari, delle persone semplici che lavorano e faticano nella vita quotidiana, una lotta, appunto, di liberazione. Una rivoluzione contrastata oltremisura dagli Stati Uniti che con i contras l’hanno combattuta fino a farla sommergere, complici gli errori commessi dalla classe dirigente sandinista. Ma rimane quel motto di Thomas Borge, il Ministro dell’Interno che suggerisce che la miglior vendetta sarà il perdono, rivolto ai collaborazionisti del regime. Ed Ernesto Cardenal, il monaco trappista e poeta che diventa ministro della Cultura, aspramente redarguito solo perché vorrebbe esportare alla piccola nazione il modello della sua comunità di Solentiname basato sui beni comuni e il rispetto per Madre natura, Pachamama.

Proprio la natura – lo spregio e la distruzione che se ne fa – è alla base delle attuali proteste. Gli studenti universitari hanno cominciato ad organizzarsi all’inizio di aprile quando un incendio distrugge più di 5 mila ettari della foresta vergine biologica Indio Maiz, polmone mesoamericano e custode di una biodiversità tra le più elevate al mondo. Le autorità rimangono inerti, anzi rifiutano l’offerta di aiuto proveniente dai pompieri del confinante Costarica. Sembra quasi che i giovani capiscano in modo emblematico e ancor meglio degli adulti che si sta distruggendo il loro futuro e lo si lascia distruggere in modo insensato e colpevole (“Il bosco cammina” come si legge nell’epigrafe di Macbeth).

Insieme a un tentativo di riforma delle pensioni (già molto basse in Nicaragua, eccetto quelle degli alti burocrati sandinisti) è la miccia, questa, che fa deflagrare la rivolta contro Daniel Ortega e la sua cricca, con in testa la Murillo, la consorte di Ortega, una rediviva Messalina vorace e insaziabile di potere personale. Del resto le stravaganze della vice presidente sono notorie in tutta Managua, come l’installazione degli Arboles de la vida, gigantesche strutture metalliche a forma di albero, installate in ogni dove con uno sperpero di denaro pubblico e proprio mentre gli alberi veri della foresta bruciano a migliaia nel sud del Nicaragua! E mentre brucia –letteralmente, nella rivolta – la società più avvertita nicaraguense, che non sopporta più gli ingiusti privilegi di una classe politica che era nata rivoluzionaria ed è diventata il massimo della conservazione dei privilegi (propri) e delle ingiustizie (nei confronti della gente più semplice).

Ora tocca alla Chiesa del Nicaragua raccogliere la sfida di una mediazione fattiva volta alla riconciliazione nazionale e però nel segno della discontinuità. Molti auspicano che Daniel Ortega si metta da parte dopo tanti anni di arrogante presa del potere: uno stare abbarbicato alle poltrone che molti che erano stati suoi compagni di avventura oggi gli rimproverano.

“Il risveglio della coscienza e dei valori dei giovani” è il fatto nuovo che farebbe ben sperare in un futuro positivo per la piccola nazione centroamericana, Nicaragua, Nicaraguita. Anche se le vicende tragiche degli ultimi giorni spingono al pessimismo. Il 30 maggio le forze speciali a Managua hanno aperto il fuoco contro la manifestazione promossa dalle mamme delle vittime delle repressioni dello scorso aprile. Ci sono stati sei morti, altre persone sono rimaste uccise in altre città del Paese. Il bilancio ufficioso di un mese e mezzo di proteste è di 105 morti. In un durissimo comunicato firmato da tutti i vescovi del Paese, ripreso in Italia dall’agenzia Sir, la Conferenza episcopale nicaraguense (Cen) ha condannato gli atti di repressione “da parte di gruppi vicini al Governo” e ha deciso di sospendere il tavolo del Dialogo nazionale.

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