Dal 1972 nessuno ci ha messo piede, ora si preparano Stati Uniti e Cina

Somm: Il ricercatore in astrofisica Stefano Marchesi ripercorre per Vita Trentina le vicende dell’esplorazione lunare, fortemente segnate da motivazioni politiche

Se il 20 luglio 1969 Neil Armstrong e Buzz Aldrin misero piede sulla Luna sotto agli occhi del mondo intero (530 milioni di spettatori seguirono l’allunaggio in diretta televisiva), tre anni e cinque allunaggi dopo la situazione era già molto diversa: non furono in molti, l’11 dicembre 1972, ad assistere in diretta all’arrivo dell’Apollo 17 sul nostro satellite. Tre giorni dopo, terminata una lunga serie di esperimenti scientifici, l’astronauta Eugene Cernan si chiuse il portellone del modulo lunare alle spalle e ripartì – insieme al collega Harrison Schmitt – verso il modulo di comando e da lì in direzione della Terra. Cernan probabilmente non ne aveva idea, ma dopo di lui nessuno avrebbe più calpestato la superficie lunare.

Per capire come mai l’essere umano non ha più fatto ritorno sulla Luna dopo gli anni delle missioni Apollo, va ricordato il contesto storico in cui queste avvennero: quando – all’inizio degli anni Sessanta – l’allora presidente statunitense Kennedy promise di mandare un uomo sulla Luna entro la fine del Decennio, era già trascorso oltre un anno dal primo viaggio di un uomo al di fuori dell’atmosfera terrestre e quindi nello spazio: non si trattava però di uno statunitense, bensì del cosmonauta russo Jurij Gagarin.  Il progresso tecnologico che rese possibili le missioni Apollo è dunque certamente il prodotto del lavoro di migliaia di scienziati e scienziate, di ingegneri e astronauti (otto dei quali morirono nel corso di diverse missioni preparatorie): ma il lavoro di ciascuno di essi fu reso possibile dall’enorme investimento economico fatto dagli Stati Uniti per vincere quella parte di Guerra Fredda che era la conquista dello Spazio. 

Se per compiere una delle imprese più incredibili della storia dell’umanità fu dunque necessario, per quanto paradossale possa apparire, che due nazioni nemiche facessero di tutto per raggiungere una prima dell’altra lo stesso scopo, non deve stupirci come il rinnovato interesse della Nasa e del governo statunitense per l’esplorazione dello spazio sia almeno in parte una reazione alle ambizioni di una nuova potenza internazionale: non più l’Unione Sovietica (o la Russia), ma la Cina. A partire dal 2007, il governo cinese sta sviluppando  un ambizioso programma di esplorazione lunare, articolato in cinque punti: ad oggi, le prime due fasi della missione sono state completate, prima mandando delle navicelle senza equipaggio in orbita attorno alla Luna, poi facendovi atterrare dei rover,  robot dotati di ruote che hanno effettuato sia esplorazioni della superficie lunare che osservazioni astrofisiche, usando i telescopi che avevano in dotazione. Per quanto riguarda la fase finale, ovvero lo sbarco sulla Luna di un equipaggio umano, la previsione è di riuscirci non più tardi del 2040.

E gli Stati Uniti? Come detto, non sono rimasti a guardare: compagnie private come Space-X, Virgin Galactic e Blue Origin stanno investendo per essere la prima “agenzia viaggi” spaziale a portare in orbita privati cittadini disposti a pagare almeno 200,000 Euro per un biglietto. L’obiettivo dichiarato del presidente Trump è invece di mandare un equipaggio umano sulla Luna entro il 2024, per poi inaugurare entro il 2026 Gateway, una stazione spaziale come la ISS che ha ospitato tra gli altri la nostra Samantha Cristoforetti, ma la cui orbita sarebbe attorno alla Luna, invece che alla Terra. Tutto questo a patto che presidente e congresso statunitense decidano di stanziare alla NASA circa 5 miliardi di Euro all’anno in più rispetto a quanto messo a disposizione attualmente.

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