Il clima? Dipende anche da noi

“Dobbiamo azzerare l’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) entro il 2070”

“È un dato di fatto inequivocabile che il pianeta si sta riscaldando e che la causa prevalente è nelle attività umane”. Non usa mezzi termini Luca Lombroso, tra le tante voci della comunità scientifica che da decenni denunciano con estrema preoccupazione i rischi e le conseguenze connessi ai cambiamenti climatici. Dello stato febbrile della terra ne ha scritto, tra l’altro, anche nel suo ultimo libro “Apocalypse now? Clima, ambiente, cataliclismi. Possiamo salvare il mondo. Ora”, uscito nel 2012.

Un titolo inquietante che evoca la fine del mondo.

Pensi che oggi scriverei “Dobbiamo salvare il mondo ancora!”. Nel libro spiego i “5 gradi dell’Apocalisse”, ovvero gli impatti per ogni grado di aumento della temperatura terrestre, aumentata di un grado rispetto alla temperatura media globale in epoca preindustriale. Lo squilibrio in energia sono circa due watt su metro quadrato su 340 dell’equilibrio della terra: è come se avessimo accesso cento stufette da un chilowatt a testa. L’obiettivo è di fermare il global warming entro 2°C di ulteriore riscaldamento da oggi al 2100. Se non interveniamo subito la temperatura potrebbe aumentare fino a 5 gradi centigradi con conseguenze devastanti per l’ecosistema.

Quali?

Alcuni fenomeni sono ormai sotto gli occhi di tutti: il ritiro dei ghiacciai non solo in Alaska ma anche da noi, pensiamo all’Adamello e alla Marmolada, l’aumento del livello dei mari, le inondazioni. Se non agiamo gli impatti sull’agricoltura, sulla salute, sull’economia saranno devastanti. Paesi del Golfo Persico, dell’Arabia, una parte dell’Africa diventerebbero invivibili.

Quali sono gli indizi che la colpa è dell'uomo?

Lasciamo la nostra firma ovunque. Grazie alle bollicine intrappolate nei ghiacciai polari sappiamo che la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra prodotto dall'uomo, ha raggiunto il livello di 400 parti per milione, il più alto raggiunto nell'ultimo milione di anni. Nessun antenato dell’uomo nella sua evoluzione si è mai trovato in questa condizione. Non possiamo più fare finta di niente.

Siamo in tempo per evitare il peggio?

In tempo per limitarlo. La temperatura della Terra anche per inerzia si innalzerà comunque. Le Nazioni Unite spingono per misure di adattamento ai cambiamenti climatici, io preferisco parlare di resilienza, ovvero la capacità di superare questi shock senza soccombere. Semplificando: se è sostenibile fare la raccolta differenziata, resilienza vuol dire eliminare la produzione di rifiuti. Come intervento drastico dobbiamo azzerare l’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) entro il 2070.

Il 30 novembre si apre a Parigi la 21a Conferenza sul clima. Dal protocollo di Kyoto (1997) ad oggi gli obiettivi sulla CO2 sono falliti. Cosa auspica?

Cop21 dovrebbe portare ad un accordo internazionale che limiti il riscaldamento globale sotto i due gradi centigradi, punto di non ritorno. La buona notizia è che, per la prima volta anche Usa, Cina e India hanno presentato il loro piano di riduzione delle emissioni. Purtroppo alla vigilia del vertice la somma delle percentuali dei singoli governi fermano la temperatura attorno ai 3 gradi e mezzo.

E noi cosa possiamo fare?

Le buone pratiche ambientali, le fonti rinnovabili, la mobilità sostenibile, la riduzione dei consumi non bastano. Occorre esercitare una pressione mediatica sui governi e avviare un processo di transizione collettiva verso una società post petrolio. La chiave del movimento culturale delle “città di transizione” nato nel 2003 in Irlanda e che si si è diffuso in tutto il mondo, è proprio la riscoperta della resilienza della società. Una transizione che passa per la riprogettazione delle nostre comunità, del nostro modo di vivere i rapporti umani e con l’ambiente.

(a cura di)

vitaTrentina

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