Mantenere intatta la memoria

Merano: la lapide che racconta la storia del sottocampo del lager di Bolzano

È uso a Merano che in occasione della Giornata della Memoria i rappresentanti del Comune si ritrovino per una cerimonia di commemorazione presso il muro dell’ex campo satellite del lager di Bolzano. Lo faranno anche fra qualche giorno, alle 12 del 27 gennaio.

La Giornata della Memoria compie, in Italia, venti anni. Fu istituita con una legge del luglio del 2000 “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche arrivavano ad Auschwitz (oggi la città polacca di Oświęcim) scoprendo l’inferno del campo di sterminio ormai abbandonato dai nazisti in fuga. Si calcola che nel complesso di Auschwitz persero la vita fino a un milione e mezzo di persone.

Una delle tappe per i deportati italiani destinati ai luoghi di morte in Germania e Polonia fu il cosiddetto “campo di transito” (Polizei-Durchgangslager) di Bolzano. Istituito nell’estate del 1944 – erede dell’analoga struttura di Fossoli presso Carpi – disponeva, come tutti i lager, di una serie di campi satellite nei quali i prigionieri svolgevano lavori in regime di schiavitù. Erano in val Senales, a Sarentino, Moso in Passiria, Vipiteno, Colle Isarco e Dobbiaco, per lo più all’interno di strutture dell’esercito. A Merano il campo satellite fu collocato dapprima in una caserma di fronte all’ippodromo, successivamente qualche centinaio di metri più in là, nella caserma che dopo la guerra si sarebbe chiamata “Bosin”. Oggi ne rimane solo un frammento. Dieci anni fa il Comune ha deciso di conservare un tratto del muro di cinta. Non solo per fare memoria della presenza del campo, quanto soprattutto per ricordare che qualcuno riuscì a scavalcare quel muro, a passare di là, a salvarsi la vita. I nomi delle due giovani donne: Ernesta e Albertina.

Oggi su quel tratto di muro è affissa una lapide che così racconta in breve la storia: “Sorgeva in questo luogo la caserma per la Guardia alla Frontiera che durante la Seconda Guerra mondiale fu trasformata in campo di concentramento. Allestito come sottocampo del lager di Bolzano – inizialmente presso la vicina caserma Rossi – fu attivo dall’ottobre 1944 all’aprile 1945. Vi furono rinchiusi per motivi politici, bellici e razziali e costretti a lavori forzati donne e uomini di lingua e religioni diverse. Intorno a Natale 1944 due ragazze internate riuscirono a fuggire dal campo scavalcando questo muro. Si salvarono grazie all’aiuto di alcuni cittadini e cittadine meranesi. Il Comune di Merano intende mantenere intatta la memoria di questo luogo di sofferenza”.

La memoria si compone di cose belle e cose brutte. L’iscrizione ci parla di guerra, di lager, di oppressione di uomini e donne per “motivi politici, bellici e razziali” e del loro sfruttamento che ne voleva cancellare la dignità. La lapide racconta però anche di due ragazze che ebbero il coraggio di sfidare il mostro. Di più: parla di cittadini che non si voltarono dall’altra parte e non fecero finta – come troppi – di non vedere. Infine ci dice di un Comune che “intende mantenere intatta la memoria”. Una buona notizia in tempi di revisionismi, di dimenticanze e di un pensiero che ha perso la prospettiva storica.

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