Il burro e gli eccessi salutistici

Solo a vederlo un panetto di burro genera molto spesso suggestioni contrastanti non solo tra gli ospiti dello stesso tavolo, ma anche nella coscienza gastronomica di ognuno di noi: irresistibile golosità, colesterolo, calorie, profumo, salute, tradizione, montagna…

L'utilizzo del burro in cucina risale a tempi antichissimi. Tracce di questo alimento sono state trovate all'interno delle tombe della prima dinastia dei faraoni egiziani. È quasi certo gli indiani fabbricassero burro già nel 1500 a.C. e della produzione di questo grasso viene fatto accenno anche nella Bibbia (Proverbi XXX, 33 e Genesi XVIII, 8). In epoche più recenti il suo utilizzo è stato indiscutibilmente legato alla tradizione culinaria delle zone del Nord e ancor di più di quelle montane, dove non era presente l'olio di oliva.

Fino a qualche decennio fa il burro è stato tra i simboli indiscussi dell'alta cucina, tanto da essere uno degli ingredienti più usati da Gualtiero Marchesi nei suoi piatti, o addirittura una delle tre colonne portanti di quella di Paul Bocuse come lui stesso ha più volte affermato, insieme a panna e vino. Ma Marchesi e Bocuse, grandi maestri scomparsi entrambi qualche mese fa, appartenevano ad un'epoca in cui la cucina era meno influenzata da mode, gossip ed estremismi filosofici e salutistici.

A segnarne poi indirettamente le sorti, influenzandone anche la nostra opinione, fu la pubblicazione dei risultati del Seven Countries Study. La più grande ricerca epidemiologica mai fatta nel campo della nutrizione, condotta da Ancel Keys, nel 1960 elesse la dieta mediterranea come miglior stile di vita per vivere meglio e più a lungo. Via subito dalle ricette, quindi, il burro e tutti gli altri grassi di origine animale a favore del salutistico olio extravergine di oliva, anche se più calorico.

A parità di peso il burro presenta infatti quasi il 20% di calorie in meno rispetto all'olio di oliva: utilizzando 50 g di burro anziché la stessa quantità di olio di oliva risparmiamo 60 kcal. Per quanto riguarda il colesterolo invece 100 g di burro ne contengono 250 mg, mentre assolutamente senza ne è l'olio di oliva. Le linee guida consigliano di non superare i 300 mg di colesterolo al giorno, ricordando però che meno colesterolo prendiamo dai cibi più ne viene prodotto dal nostro organismo.

Per non rischiare di cadere negli eccessi il consiglio è ancora una volta di guardare alla qualità del burro, piuttosto che alla quantità: un buon burro ha una resa in condimento e in aromaticità sicuramente maggiore rispetto a un prodotto scadente.

Il burro andrebbe scelto con la stessa cura con cui scegliamo l'olio extravergine di oliva per il quale esistono verie denominazioni di orgine protetta. Al momento solo la Francia ha tutelato le proprie produzioni di qualità istitutuendo ben quattro AOP (Appellation d'Origin Protégée) per il burro. In Italia per ora vi sono soltanto altri riconoscimenti, come i presidi Slow Food che sostengono prodotti di eccellenza come il Botìro del Primiero.

Ma perché la maggior parte del burro italiano è di qualità più bassa rispetto a quello francese o a quello tedesco? La risposta è da ricercare nelle diverse strade che prende il latte nella filiera casearia. Nel nostro paese oltre i due terzi del burro prodotto sono un sottoprodotto della lavorazione del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano che utilizzano latte parzialmente scremato per affioramento della crema. Essendo l'affioramento un procedimento che richiede diverse ore, le proprietà organolettiche del latte si modificano e di conseguenza anche il burro ha sapore e colore differente. Nel resto d'Europa il burro si ottiene invece da latte selezionato e mediante il metodo della centrifugazione, fase che avviene subito dopo la mungitura, mantenendone così inalterate le caratteristiche qualitative.

Un altro aspetto che dovrebbe spingerci a leggere con più attenzione le etichette del burro è l’aumento del prezzo di questo grasso. All’ingrosso un chilogrammo di burro a maggio del 2016 costava 2 Euro e 29 centesimi, mentre a settembre del 2017 è arrivato a costare ben 6 Euro e 54 centesismi (fonte CCIAA Milano). A triplicarne quasi il valore in poco più di un anno sono stati diversi fattori: la riduzione della produzione del latte, la crisi dei consumi dell’olio di palma, ma anche una maggior richiesta da parte dei mercati di Stati Uniti, Cina, Egitto, Messico e Giappone dove solo di recente il burro è stato individuato come ingrediente pregiato.

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