Tante separazioni e divorzi: cosa fare?

Constatiamo nell’ambito delle famiglie troppe separazioni e divorzi. Perché sono così tanti? Cosa possiamo fare?

(da una domanda rivolta al vescovo Tisi)

E’ una domanda grande come una casa.

Provo a rispondere proprio con l’esempio della casa, che poi è il simbolo della famiglia.

Ci vuole un po’ di tempo a preparare una abitazione per quanto piccola e arredarla, almeno del minimo; già solo per non litigare a cominciare dalle piastrelle bisogna concordare gusti e preferenze. Ma il lavoro non è finito con la presa di possesso; continua ogni giorno, ogni stagione, per adattarsi adattando il clima e la luce; se poi arriva il bebè. Altrettanta fatica comporta mettere insieme una famiglia di due persone, adattarle uno all’altra e preparare nido e atmosfera agli eredi.

Questo per dire che una delle cause del fallimento di un matrimonio è proprio l’impreparazione, anche se non si è mai abbastanza pronti. Non si tratta solo di preparazione teorica – corsi e conferenze – non si tratta solo di trovare la persona giusta -; ma di un allenamento pratico ad accettarsi a condividere.

Il malessere di una persona nasce dal non-accettarsi come si è, dal non-volersi-bene, dal pretendere troppo da se stessi… Ebbene: il sentirsi accettato, apprezzato – e anche perdonato – aiuta a guarire dal disagio personale e a rispondere alla stessa maniera all’altro.

I se parla”: è così ricca di significato questa espressione nei confronti dei morosi. Quando ci sentiamo ascoltati osiamo ascoltare noi stessi e gli altri. L’amore è frutto – anch’esso come la persona – di tre componenti, tre c: cervello, cuore, corpo. La parola e l’ascolto fanno venire a galla i sentimenti, l’affettività, il cuore… Ho sentito qualche volta donne che venivano da fuori – foreste, come le chiama la nostra Ilaria Senter – : si lamentavano dei loro uomini trentini, fedeli sì, ma piuttosto orsi, parchi in espressioni di affetto.

Si tratta insomma di imparare a dire io e tu in maniera autentica e poi imparare piano piano a dire noi, nostro. In queste feste natalizie ho posto in due assemblee differenti la domanda “qual è il contrario di famigliaNon è bene che l’uomo sia solo” e nemmeno la donna: l’opposto di famiglia è solitudinecompagnia – in gergo comunione – è dono e compito anche di chi, come il prete, sceglie di non sposarsi.

Oltre che la concentrazione sull’io, e il progressivo apprendimento del noi, credo che l’altra difficoltà della vita matrimoniale sia la mancanza di prospettiva. Fa più paura che in passato il sempre, “nella buona e nella cattiva sorte”. E allora o si tiene aperta la porta di casa, o si viaggia in roulotte o ci si accontenta della tenda. Si tratta più che altro di soluzioni precarie – come tanti lavori – indotte dalla paura, più che dalla debolezza.

Commuove ancora la coppia anziana. E il matrimonio che resiste è ancora considerato la vera autentica casa di riposo, la realistica quota cento nel calcolo della pensione. Ma guardando con realismo le coppie della propria cerchia, diminuisce la speranza di farcela.

La persona vive tra l’io, il tu e il noipermesso…, grazie!, scusa…

Corrisponde a quanto mi raccontavano due suore ugandesi: i genitori della nostra tribù insegnano ai loro figli a salutare, ringraziare, perdonare.

Un’ultima annotazione e un rimpallo. Mi si perdoni se come celibe ho parlato di famiglia. Però a chi ha posto al vescovo la domanda di cui sopra, sottopongo un problema ancora più grave che i rilievi demografici di questo fine/inizio d’anno ci hanno posto: Perché così pochi giovani si sposano? Perché le case, i nidi, le scuole si svuotano?

Cosa possiamo fare per invertire la tendenza?

Don Remo Vanzetta*

*collaboratore pastorale a Rovereto è stato direttore del Centro Famiglia e parroco di Pergine Valsugana

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