Battaglie in corso

Renzi l’ha definito la madre di tutte le battaglie: parlava del referendum confermativo sulle riforme costituzionali previsto per il prossimo ottobre. E’ il suo stile e anche il suo punto debole: drammatizzare su di sé ogni passaggio presentandolo come una scelta ultimativa fra il bene e il male. Ha ragione a pensare che si tratti di un passaggio cruciale, sbaglia nel mettere troppa enfasi nell’annunciarlo, perché alla gente normale la crucialità della prova non è così evidente.

Non si può che essere d’accordo con il presidente emerito Napolitano quando ha rilevato che se la riforma venisse bocciata ci giocheremmo la credibilità dell’Italia, perché dopo almeno trent’anni di diatribe sulla seconda parte della costituzione che è ricca di difetti (in realtà se ne discute da settanta) decidere che non se ne fa niente darebbe la prova di un paese che non riesce ad uscire dalla palude dei veti incrociati neppure usando il ricorso estremo alla rottamazione di gran parte della sua classe politica e delle sue organizzazioni.

Al di là delle questioni di merito, che non mancano, questo è il tema di fondo della situazione attuale ed è questo che spiega perché, comunque la si voglia mettere, il risultato del referendum sarà un verdetto sulla possibilità o meno di realizzare questa svolta. Renzi l’ha capito, ma l’hanno capito benissimo anche i suoi avversari che infatti sono da tempo all’opera per organizzare la loro riscossa all’ombra della battaglia che si ammanta di ragioni costituzionali. Il presidente del Consiglio ha fatto però anche un errore: ha sottostimato la coalizione di quelli che tutto sommato vogliono che il paese rimanga così com’è, pensando che invece la lotta fosse solo interna alla classe politica.

Così non è, perché una vittoria del “renzismo” segnerebbe il tramonto di tutto un sistema di relazioni e di posizionamenti più o meno in tutti i settori della vita pubblica. Naturalmente non mancano quelli che cercano di stare coi piedi in due scarpe tanto per essere sicuri che comunque vada loro resteranno a galla( e può anche darsi che ce la facciano), ma la scena al momento è tutta per i due schieramenti contrapposti.

E’ significativo che qualche elemento responsabile della tradizionale classe politica si sia accorto del rischio che presenta la situazione. Bersani insiste sulla sua disponibilità a sostenere la riforma costituzionale purché ciò non venga interpretato come un via libera alla svolta politica che Renzi incarna. La posizione è razionale e seria, come è l’uomo, ma purtroppo è tardiva, perché arriva quando ormai da mesi, se non anni, si è gridato al tradimento di Renzi collegandovi anche il suo piano di portare a termine l’opera di riforma costituzionale.

La novità di quest’ultima fase è che il premier/segretario si è finalmente reso conto che la battaglia non è così scontata come pensavano lui e il suo cerchio più o meno magico. Tutti i sondaggi mostrano infatti due cose: 1) fra quelli che vogliono andare a votare a tutti i costi il no rischia di prevalere, perché gli oppositori sono molto motivati; 2) larga parte dell’elettorato non capisce l’importanza della posta in gioco ed è poco interessata al quesito. In un referendum che non ha quorum ciò significa che i no hanno una opportunità seria di vincere.

Adesso per gli oppositori la questione è tenere lontani dalle urne molti elettori. Ecco allora una strategia subdola, anche se pensata da alcune personalità in buona fede: chiedere che il referendum non si svolga su un solo quesito complessivo, ma che contenga quattro o cinque quesiti sulle diverse questioni che la riforma affronta. Razionalmente è una procedura giusta e convincente. Politicamente è un disastro. Infatti la gente che già fa fatica a capire cosa sia veramente in gioco con una ipotesi di riforma complessiva della seconda parte della Costituzione (la prima, quella fondamentale dei principi, non viene toccata), si troverà spiazzata dalla richiesta di esprimersi su quattro o cinque questioni che non è semplice capire cosa implichino. Dunque sarà tentata di non votare.

Come si vede il momento è assai delicato e i rischi per la tenuta del nostro sistema non sono piccoli. Infatti uno stato di guerra interna strisciante fra tutte le componenti delle classi dirigenti (e qualche tentativo più o meno riuscito di coinvolgere la magistratura dovrebbe far riflettere) non è quanto ci si può augurare in questi tempi così complicati.

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