Il governo a un tornante

Dopo tanti giorni di sospiri sul “non si può andare avanti così”, sembra che il governo Conte stia arrivando ad un punto di svolta: o trova il modo di rimettersi in carreggiata o va a sbattere. E’ una concentrazione di problemi quella che il premier deve affrontare, perché non c’è solo la manovra economica prevista dalla legge di bilancio, ma anche il tema sempre più contorto del futuro dell’Ilva, la questione della riforma del sistema giudiziario, la soluzione da dare al tema delle autonomie rafforzate. Superare queste rapide non sarà uno scherzo per la scialuppa del governo.

La manovra è per certi aspetti il tema più facile, ma anche quello più rischioso. L’assalto alla diligenza è un classico di tutti i dibattiti sulle leggi finanziarie e in genere poi un qualche rattoppo si trova, ma oggi c’è una novità: questa manovra è unanimemente giudicata senz’anima (platealmente sono d’accordo confindustria, sindacati e ufficio di bilancio della Camera). Era difficile che non fosse così essendo un provvedimento nato per sommatoria delle diverse esigenze, ovvero bandierine, presentate da ognuno dei partiti della coalizione. Ciascun intervento richiedeva un po’ di soldi che non c’erano e ci si è dovuto inventare come raccattarli, costruendo un puzzle che non soddisfa nessuno e che fa temere un incremento della stagnazione di cui soffre il paese.

La vicenda dell’Ilva è un pastrocchio che peggio non si potrebbe immaginare. Innescata dalle bizze di un gruppo di grillini (in questo caso è giusto chiamarli così) con l’andirivieni sul tema dello scudo penale ha dato modo alla nuova proprietà di trovare la scusa per sganciarsi da un contesto che giudica ingestibile tanto per ragioni economiche (la crisi nel mercato dell’acciaio) che politiche (l’ostilità di poteri locali e magistratura, nonché l’instabilità del governo nazionale). Adesso però il premier dovrebbe trovare un piano B che non c’è se non nelle fantasie di certi politici poco collegati con la realtà. Lasciar scoppiare una crisi sociale così come evitarla con un enorme esborso di denaro pubblico a fondo perduto sono pessimi viatici per una maggioranza che deve affrontare le impegnative prove elettorali di una serie di tornate regionali.

Intanto però restano in campo i problemi ereditati dal passato. Il primo è la riforma del sistema giudiziario preparata dal ministro Bonafede sotto il vecchio governo gialloverde, ma transitata senza colpo ferire nel nuovo. Si tratta di un testo molto criticato dai tecnici, vuoi sul fronte dei magistrati, vuoi su quello degli avvocati. Vorrebbe barattare meccanismi assai incerti di velocizzazione dei processi con la cancellazione della prescrizione dopo il giudizio di primo grado. Non possiamo analizzare qui le complesse ragioni giuridiche che portano a respingere questa impostazione da ingenuo giustizialismo d’assalto. Ci limitiamo a dire che si deve decidere qualcosa, perché l’introduzione della riforma sulla prescrizione scatterà a gennaio e a questo punto senza neppure il quadro di una legge di riforma complessiva. I Cinque Stelle vorrebbero portare a casa almeno il successo di aver piantato la loro bandierina sulla riforma della giustizia, ma il PD e non solo nutre perplessità a dare questo contentino ben più oneroso di quello concesso sul taglio dei parlamentari. Ovvio che sia un altro tema su cui può entrare in crisi la maggioranza.

Da ultimo citiamo il testo sulle autonomie differenziate messo in campo dal ministro Boccia: un testo che non incontra certo le aspettative di Lombardia e Veneto, ma che in un contesto diverso potrebbe anche costituire un ragionevole punto di partenza per un dialogo. Oggi però, con le prospettive elettorali che come minimo includono le regionali in Veneto, ma che potrebbero anche vedere l’ipotesi di elezioni per scioglimento anticipato della legislazione a primavera, infilarsi in quel tunnel spaventa tutti e dunque c’è da aspettarsi fibrillazioni da tutte le parti, dal PD (comunque l’Emilia è fra le regioni interessate), M5S (avremo regionali anche in Campania e in Puglia, territorio elettorale per i Cinque Stelle), per non parlare di Italia Viva (anche in questo caso regionali in Toscana, territorio di Renzi, ma anche in parte di LeU).

Come usciranno il governo e la maggioranza da questo ingorgo è arduo da prevedere. Certo al momento non si vedono personalità capaci di imporre con autorevolezza una sintesi, mentre spira non solo in Italia un vento favorevole alle destre.

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