La stanchezza dei partiti

L’unica cosa che sembra accertata in questo preludio del finale della campagna elettorale per le amministrative è la stanchezza, chiamiamola così, dei partiti politici. Tutti. Fateci caso: per quel poco che si parla di future elezioni (perché è un tema che non appassiona la gente) si tratta solo di scontri interni ai gruppi dirigenti dei vari raggruppamenti, o, dove non ce ne sono, almeno apparentemente, come nella Lega e nei Cinque Stelle, di problemi di leadership.

Naturalmente qua e là affiorano proposte per la futura azione di governo, ma sono in genere ovvietà o questioni vetrina: renderemo belle le periferie, farò diventare balneabile il Tevere, garantiremo maggiore sicurezza e cose del genere. Vorremo vedere che qualcuno sostenesse il contrario.

Manca totalmente dappertutto il gioco di squadra, la mobilitazione di intelligenze attorno ai candidati, l’ambizione ad accreditarsi come capaci di ricostruire quel rapporto fra cittadini e politica che è andato in frantumi. Una volta i partiti servivano a quello, avevano i loro organi interni dove ci si confrontava, una stampa che dava voce all’elaborazione delle proposte. Oggi è tanto se servono a gestire un poco il vorticoso rincorrersi di un pugno di personaggi nel gran circo dei talk show.

Una seria base di discussione è una sorta di araba fenice. Prendete il fiacco dibattito sul referendum delle trivelle. Mancano analisi razionali per sapere con un minimo di autorevolezza quanti posti lavoro sono in gioco, se davvero le energie rinnovabili sono già in grado di liberarci dal consumo dei combustibili fossili, se realmente le piattaforme al lavoro inquinano in maniera terribile. I sostenitori del referendum fanno una propaganda puramente populista, come quando il presidente della Puglia Emiliano sostiene che il mare appartiene a quelli che ne abitano le coste. Peccato che poi questi pesino sullo stato nazionale per tutte le loro necessità come è inevitabile. Non occorrerebbe essere un ex magistrato per aver qualche nozione di cosa sia l’unità nazionale.

E’ abbastanza curioso che per esempio la minoranza del PD strepiti perché sul referendum ci sia libertà di coscienza quanto al voto. Ma allora a che serve un partito? Qui non si tratta di fare scelte morali in cui non è semplice decidere fra il giusto e l’ingiusto, si tratta di valutare razionalmente costi e benefici di una politica. Cosa che, sia detto per inciso, si dovrebbe supporre sia stata fatta quando venne approvata la legge che ora si vuole modificare.

Altrettanto curioso che gli altri partiti in sostanza si impegnino poco nella diatriba, limitandosi a correre dietro al “dispetto” che si potrebbe fare a Renzi abrogando la norma in questione. E’ il caso della Lega e dei Cinque Stelle che peraltro non si stanno dando molto da fare (significativo sinora il silenzio di Grillo).

La politica insomma sembra essere entrata in una fase di sospensione. Renzi ne beneficia perché sta al governo e dunque è in posizione di fare comunque qualcosa. Aggiungiamoci che ha l’enorme vantaggio di tenere nelle sue mani la gestione della politica estera che in questi tempi di grave allarme per la crisi del terrorismo islamista rappresenta una bella risorsa politica.

Il vecchio centrodestra dei “moderati” è quello che paga il prezzo più alto dell’impasse attuale. Ha perso la sua vecchia arma populista del richiamo ai ristoranti pieni e agli aerei in cui non si trova posto, ha capito che non gli conviene fare la stampella al lepenismo distorto di Salvini e compagni, ma non riesce a trovare lo strumento per rimontare la corrente. In nessun comune italiano ha veramente un uomo bandiera. Dove è messo meglio come a Milano ha dovuto affidarsi al classico “papa straniero”, come fece la sinistra quando a suo tempo, in un altro contesto, chiamò in campo Prodi. Non si sa se vincerà, ma qualora gli andasse bene sarà costretto a guardarsi giorno e notte da una coalizione rissosa i cui componenti hanno troppo bisogno di consolidare i relativi spazi per lasciargli fare una buona politica. Il parallelo con la coalizione di Prodi è troppo facile da fare.

Quando si parla con amici e colleghi di varie regioni italiane si sente ripetere la stessa analisi: i partiti sono scatole vuote, buone al massimo per essere terreno di scontro degli ultimi arrivati sulla scena politica e dei sopravvissuti dell’era precedente. Una prospettiva sconsolante.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina