Legge elettorale con incognite

Dunque sembra che ci si avvii all’approvazione della famosa legge elettorale largamente condivisa che era nell’auspicio di molti. Lamentarsi che ciò abbia significato avere un testo che va incontro ai loro interessi è ipocrita, perché non si è mai visto in politica un accordo siglato per penalizzarsi reciprocamente. Ciò non significa affatto che si tratti di un buon compromesso, ma solo che è quello che ci si poteva aspettare passasse il “convento” attuale in mancanza di un colpo d’ala che facesse fare un salto di qualità alla discussione.

Va onestamente riconosciuto che alla fine i difetti peggiori sono stati eliminati. Si è evitata la assurdità di candidati eletti nella sezione uninominale che venissero sorpassati dai capilista degli elenchi nel proporzionale. Il prezzo è stata una riduzione nel numero di questi posti (non il 50% dei membri da eleggere, ma un pochino meno del 40%). Per evitarlo si sarebbe dovuta accettare la possibilità di separare le due quote (cioè distribuire col proporzionale e con l’uninominale due numeri fissi di seggi senza mischiare le due tipologie), ma questo avrebbe voluto dire accettare il principio del voto disgiunto, che terrorizza tutti i partiti contraenti. Infatti autonomizzare la quota uninominale significava ammettere l’elezione anche di candidati facenti capo a formazioni che non potevano superare la soglia di sbarramento a livello nazionale e favorire le lotte interne ai vari campi (problema molto acuto fra PD e sinistre varie, ma non assente a destra). In più significava aprire alla possibilità di candidature provenienti dal notabilato locale, in Italia fiorente e non sempre in maniera limpida.

Dunque accontentiamoci della soluzione trovata, visto che di partiti con il coraggio della battaglia con l’opinione pubblica non ce ne sono. Il secondo sgorbio eliminato è stato quello delle pluricandidature (anche se non è ancora certissimo che questo reggerà). Serviva davvero al lobbismo dei partiti minori, ma non era disdegnato da partiti che continuano a far gran conto sulla capacità di attrazione di capilista accreditati dalla iperpresenza nei salotti televisivi. Una piccola truffa, visto che l’elettore credeva di votare per il divetto di turno e si sarebbe poi trovato a rappresentarlo una seconda se non terza scelta.

Entrambe sono decisioni di buon senso, in cui ha influito la rivolta dell’opinione pubblica e che i politici hanno fatto avendo in mente anche che in caso contrario potevano cadere sotto la scure del giudizio di incostituzionalità, forse mettendo in difficoltà la stessa promulgazione della legge da parte di Mattarella.

Detto questo, adesso si aprono due incognite. La prima è quella sulla data del voto, anche se tutti danno per scontato che sarà a fine settembre. L’accelerazione ha ragioni significative, ma anche motivi meno nobili. Sul primo versante non c’è solo l’opportunità di avere un governo pienamente legittimato per la stesura della legge di bilancio, ma anche la difficoltà di andare avanti con un parlamento preda ormai di lotte di fazioni e dove dunque tutto diventa problematico. Sul secondo versante c’è invece la voglia da parte di tutti i contraenti dell’intesa sulla riforma elettorale di trarre profitto da come si sono consolidati i consensi (a stare ai sondaggi). Tutti vogliono mettere in chiaro quanto consistente sia il proprio “peso” e temono che esso possa essere insidiato dalle turbolenze che mettono in campo le varie forze che si agitano al di fuori dei partiti maggiori.

La faccenda è particolarmente visibile nella contrapposizione fra il PD e il marasma di gruppi che si vogliono collocare alla sua sinistra. Questi ultimi in sostanza vogliono solo riproporre l’antica formula del tutti contro uno, che sarebbe il diavolo: l’hanno fatto contro Berlusconi, adesso lo fanno contro Renzi, agevolati secondo loro dal fatto che Renzi dovrebbe fare un accordo con Berlusconi. Naturalmente a questi fini strateghi sfugge il dato banale che se loro non vogliono alleanze col PD di Renzi, difficilmente questo potrà avere un’alternativa alla alleanza con Berlusconi.

Tuttavia questi come altri sono i classici conti senza l’oste, perché non saremmo così sicuri che l’elettorato nelle attuali condizioni e sotto la pressione di quel che è accaduto in questi mesi e che può darsi accadrà nei prossimi si comporti come desiderano i vari partiti. Questa è l’incognita maggiore, tipica di ogni esordio di nuovo sistema elettorale, solo che nelle nostre attuali condizioni i rischi cui andiamo incontro non sono piccoli.

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