Politica senza pace

L’allontanarsi della scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento non aiuta la sistemazione della politica italiana entro binari di sia pure relativa razionalità. Ormai si dà per scontato che la legislatura arriverà a fine corsa (tecnicamente, ma è ipotesi estrema e poco probabile, si potrebbe tirare fino a votare a maggio 2018), ma nessuno è disposto a giurarci perché il cammino è cosparso di trabocchetti. Dunque tutti si tengono le mani libere e lavorano in un clima da campagna elettorale permanente, vedi mai che all’improvviso arrivasse uno scioglimento anticipato della legislatura.

Il governo Gentiloni lavora come se quel rischio non ci fosse, ma vedremo se sarà in grado di andare oltre la conclusione di qualche iter legislativo già a buon punto e oltre un po’ di ordinaria amministrazione. Per fare di più avrebbe bisogno di una maggioranza di sostegno coesa, ma questa manca.

La scissione nel PD e le fibrillazioni sull’estrema sinistra fra l’ancora poco decifrabile movimento di Pisapia e quel che resta dei cespuglietti dell’estrema hanno indebolito la maggioranza governativa che sconta anche le inquietudini che percorrono il fronte dei moderati di centrodestra anch’esso alla ricerca di una spendibile identità elettorale. Ufficialmente nessuno vuol far saltare il governo, perché si sa benissimo quanto rischiose sarebbero le urne per forze poco strutturate e con una legge elettorale piuttosto confusa come quella attualmente vigente. Tuttavia nessuno riesce a resistere alla tentazione di guadagnare il suo quarto d’ora di spazio nei talk show, il che richiede una corsa continua al protagonismo mediatico.

Lo si vede benissimo se si esamina la scelta inspiegabile del nuovo “Movimento Democratici e Progressisti” (MDP) a proposito del caso del ministro Lotti. Non se la sono sentita ovviamente di confluire sulla mozione di censura del M5S, ma di fatto hanno cercato di presentarne una autonoma, congegnata però in maniera tale da risultare di fatto un’arma scarica (forse non giungerà neppure in Aula). Quel che però è significativo è l’attacco che la mozione inutile contiene al PD presentato come partito inquinato da familismo e corruzione: certo non un buon viatico per aprire un domani ad una alleanza governativa con quel partito dopo l’esito delle elezioni del 2018. Neppure una strategia comprensibile alla vigilia di elezioni amministrative in cui la sinistra rischia grosso. Dunque a cosa servono queste mosse se non a fare della polemica che alla fine lascerà il tempo che trova?

La cosa che stupisce qualsiasi osservatore raziocinante è come i partiti si affannino a ragionare su ipotetiche coalizioni che escludano questo o quello in nome di una presunta purezza ideologica quando al momento l’unica previsione che si fa è quella di un futuro parlamento in cui gli elettori non determineranno alcuna maggioranza “omogenea”, cioè fatta da partiti che sono d’accordo almeno su una serie di prospettive di fondo. Certo, i cinici della politica spiegano che nella prima fase il compito dei partiti è rinserrare le proprie fila in nome di una certa “ortodossia”, nella convinzione che poi, ad urne chiuse, sia possibile rivedere tutto.

Il calcolo non ci pare molto convincente, visto quel che è successo in questi ultimi anni. Innanzitutto perché adesso c’è in campo un movimento come i Cinque Stelle che non mancano di denunciare in continuazione queste vecchie strategie che stanno dietro l’angolo. Gli elettori non avranno difficoltà a fare due calcoli ed a capire che tanto nelle ammucchiate post-elettorali si andrà a finire e dunque saranno tentati di optare sin da subito per M5S che sino ad ora dalle ammucchiate si è tenuto fuori (se poi potrà continuare a farlo nel prossimo parlamento è da vedere …). In secondo luogo perché oggi non c’è più una semplice contrapposizione ideologica come ai vecchi tempi (su quella si poteva sempre lavorare per qualche compromesso), ma c’è una demonizzazione personalizzata degli avversari e da lì poi è difficile tornare indietro.

Non c’è purtroppo da illudersi che i partiti siano veramente disponibili a svelenire il quadro politico, perché ne andrebbe della loro sopravvivenza. Senza queste tecniche di mobilitazione demagogica i cittadini tenderebbero ad orientarsi non verso i partiti “del cuore”, ma verso quelli che si ritenessero in grado di governare bene. Un rischio che la attuale classe politica è poco attrezzata ad affrontare.

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