Quando il gioco si fa duro

Renzi ha tutto l’interesse a prendere presto l’iniziativa per far maturare una adesione popolare alla riforma costituzionale

Conoscerete certo la famosa battuta dal film Animal House “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. E’ una specie di tormentone citato e stracitato, ma è quel che ci è venuto in mente leggendo la cronaca dell’intervento di Renzi alla direzione PD di lunedì scorso: dopo una lunga sottovalutazione del confronto referendario e del peso delle prossime amministrative, sembra che il segretario/premier abbia realizzato il rischio che corre a non prendersi carico della questione.

Il fatto è che Renzi si trova in grande ritardo per ciò che riguarda le amministrative e abbastanza in ritardo per quando riguarda il referendum. Inizialmente il premier aveva snobbato i confronti per i sindaci convinto che non si trattasse di materia che coinvolgeva la sua leadership. Ora ha visto che in una situazione incarognita come quella attuale tutto viene messo sul suo conto e dunque se il PD andasse male non sarà semplice far finta di nulla. Soprattutto perché i suoi avversari hanno annunciato che le amministrative sono solo la prima puntata della battaglia contro la sua leadership. Bisogna dire che gli auspici non sono dei migliori: persino a Milano, dove si riteneva di aver trovato un candidato difficilmente battibile, l’avversario di centrodestra sembra guadagnare posizioni e insidiarlo con la prospettiva di batterlo. Non parliamo di Roma e Napoli, dove si dà per certa una mezza debacle, anche se poi un conto sono i sondaggi, un altro i voti reali. Sembra non ci saranno problemi a Torino, ma per esempio a Bologna la vittoria del candidato PD si preannuncia fiacca, motivata più che altro dalla pochezza dei suoi competitori.

Se questo fosse il quadro, difficile sfuggire all’impressione quanto meno di un incrinarsi del carisma renziano, anche se di fatto sono i candidati sindaci i responsabili del successo o dell’insuccesso. Però sarà facile dire che molto è dipeso dall’incapacità della attuale leadership democratica di lavorare sui territori facendo emergere le candidature giuste.

Proprio per questa ragione Renzi ha tutto l’interesse a prendere presto l’iniziativa per far maturare una adesione popolare alla riforma costituzionale, adesione che deve avere una portata tale da mettere in sicurezza l’esito del referendum confermativo. Qui la partita si fa ogni giorno più difficile. Le opposizioni hanno capito che l’argomento della denuncia di una incombente dittatura renziana funziona fino ad un certo punto, anche se non mancano gli irriducibili che puntano su questa tesi. Conviene piuttosto insistere sulle debolezze del testo (che ovviamente ci sono) ingigantendole, e cambiare un po’ di carte in tavola: prima si sosteneva che il nuovo senato non contava niente, adesso ci si è accorti che invece ha vari poteri di intervento e si denuncia che questo complicherà la vita parlamentare. Come questo si accordi con la tesi cavalcata anche ora secondo cui non ci sarebbe più la necessaria dialettica di poteri che possono controllarsi a vicenda è un mistero, ma è solo uno dei molti di questa forsennata campagna di disinformazione a tutti i costi.

Un altro argomento che si è lasciato cadere da parte degli avversari è che Renzi sia il colpevole diretto di questa riforma giudicata inaccettabile. Se infatti si fosse continuato su questa strada si sarebbe dato ragione al premier che ha annunciato l’inevitabilità di sue dimissioni in caso di sconfitta. Renzi stesso ha dovuto fare un po’ marcia indietro dicendo che non vuole assolutamente fare della consultazione un referendum sulla sua persona. Tutti però sanno, da una parte e dall’altra, che invece sarà proprio così: certamente in caso di vittoria dei “no”, con qualche piccolo margine di via d’uscita in caso di vittoria dei “sì”, perché allora farebbe comodo a tutti dire che il voto popolare non è stata una legittimazione del governo.

Peraltro il premier ha capito l’antifona e qui sì che ha giocato d’anticipo. L’annuncio dato lunedì che anche in caso di vittoria si andrà subito al congresso del PD serve a togliere alla opposizione interna l’illusione che possa uscire indenne dalla sua operazione di scelta contro la ratifica della riforma costituzionale.

Siamo appena agli inizi, e, come usa dire, ne vedremo delle belle.

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