Un governo in crisi (virtuale)

Dopo l’affaire Russia Matteo Salvini si trova in difficoltà anche se continua a recitare la parte del duro

La situazione del governo è repentinamente cambiata dopo lo scoppio dell’affaire Russia: Salvini, che si sentiva già il vero timoniere dell’esecutivo e che si comportava di conseguenza, si trova in difficoltà, anche se continua a recitare la parte del duro che può permettersi di prendere tutto sottogamba.

In realtà una vicenda ancora oscura, soprattutto perché non si capisce chi la manovri e cosa abbia in mano di materiale non reso pubblico, mette in rilievo debolezze insospettate in un leader che sembrava marciare di successo in successo. Non si tratta tanto di scommettere su un repentino indebolimento della sua presa sull’elettorato: a stare ai sondaggi non ci sarebbe stato. E’ piuttosto questione della perdita dell’immagine dell’unico leader con robusti consensi che però sa agire, al di là di qualche piazzata retorica, coi piedi per terra. Difficile far continuare a vivere questa immagine non solo dopo l’evidenza di un suo rapporto con personaggi a dir poco pittoreschi, ma quando non riesce ad andare oltre la continua riproposizione della sua personale guerra alla marginalità sociale (migranti, occupanti abusivi, rom e via elencando).

Non si sottovaluti il flop che è stato l’incontro al Viminale con 43 sigle del mondo economico. Per realizzarlo Salvini è entrato in rotta di collisione con Conte, ma il fatto più interessante è il ritardo con cui il premier ha denunciato la “scorrettezza istituzionale” della mossa del suo vice. Che si sarebbe tenuto quell’incontro e in quella sede era noto da un paio di settimane, mentre Conte ne ha denunciato la “scorrettezza” (e in modo plateale: una conferenza stampa di poche battute davanti a palazzo Chigi) solo mentre l’incontro si stava svolgendo: segno evidente che si è sentito in grado di farlo solo quando ha constatato l’avvenuto indebolimento di Salvini. Oltre a questo c’è il fatto che le proposte economiche messe sul tavolo sono state giudicate abborracciate e poco convincenti da tutti i rappresentanti delle sigle economiche con maggior seguito e credibilità.

Del resto, a conferma di questo scarso successo dell’operazione, c’è anche la reazione molto moderata del vicepremier. Di fronte ad una accusa così grave tanto Conte quanto Salvini avrebbero dovuto pretendere un chiarimento radicale, minacciando in caso contrario una crisi di governo. Invece entrambi si sono ben guardati dal farlo, ma soprattutto Salvini ha mescolato una strategia di sottovalutazione del contrasto con l’annuncio di voler replicare l’iniziativa in agosto.

Naturalmente Di Maio si è infilato nella crisi cercando di recuperare ruolo e credibilità in un momento per lui avaro di successi. Non lo ha fatto tanto sul versante delle cose da realizzare, campo nel quale è più che debole, quanto in quello a lui più consono del mezzo intrigo politico, lasciando filtrare la possibilità di accordo fra M5S e PD: intanto su qualche iniziativa sgradita alla Lega (inchiesta parlamentare sui finanziamenti ai partiti, votazione all’Europarlamento a favore della von der Leyen sostenuta dal blocco contrario ai sovranisti), poi si vedrà. E già c’è chi avanza l’ipotesi di un possibile nuovo governo di transizione che potrebbe avere maggioranza parlamentare sufficiente unendo i voti di M5S, PD e LeU.

Sono fughe in avanti che hanno solo il compito di innervosire i vari attori, facendo balenare che non è detto che un ritiro della fiducia leghista al governo Conte porti automaticamente ad elezioni anticipate. Anche in questo campo la situazione è confusa: c’è chi fa notare che con elezioni anticipate si eviterebbe il rischio di dover votare fra un po’ essendo entrata in vigore la riforma che riduce notevolmente il numero dei parlamentari, chi si balocca a considerare se sia meglio o no tirare fino alla scelta nel 2022 del successore di Mattarella (con questo parlamento sarebbero possibili certi giochi parlamentari, con uno nuovo è da vedere e potrebbe anche essere in mano al blocco della destra).

Come si vede la situazione è magmatica e rivela una maggioranza politica prigioniera delle sue contraddizioni. Lo sarà magari sino al punto da non riuscire a sciogliersi, ma questo peggiora le cose, perché una evidente crisi che non riesce a passare da virtuale ad effettiva non è il contesto adatto per affrontare i problemi che ci troveremo davanti a partire dall’autunno.

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