Un sistema bloccato?

A stare ai sondaggi non cambia nulla nel panorama politico di casa nostra. Certo ci si può appassionare per il sorpasso di Forza Italia sulla Lega, chiedersi le ragioni della crescita leggera ma costante dei Cinque Stelle, interrogarsi sul blocco dei consensi al PD o discettare se il nuovo partito a sinistra guidato da Grasso sia al 5 e qualcosa o al 6 e qualcosa per cento. Resta però che una inversione di tendenza verso un polo da portare in maggioranza non sembra per ora all’orizzonte.

I sondaggi possono naturalmente sbagliare, ma soprattutto gli umori possono cambiare da qui a marzo, mese in cui sembra ormai certo si voterà. Difficile però che gli errori siano così macroscopici da non riuscire a cogliere dei rilevanti cambiamenti di tendenza. Soprattutto dovrebbe preoccupare quell’area stimata abbondantemente sopra il 40% che riunisce chi si asterrà, chi non ha deciso cosa votare (spesso una risposta per cavarsi d’impaccio e non dire che non si andrà a votare) e chi voterà scheda bianca (non moltissimi, ma neppure pochi).

E’ questa fissità che si trascina ormai da lungo tempo a spiegare perché la campagna elettorale è fatta da un lato per esasperazioni e dall’altro per competizioni all’interno del proprio campo. Le esasperazioni sono divenute tanto ripetitive da far dubitare che servano a qualcosa. A volte sono attacchi molto gridati, dove però magari si cerca di correggere qualche effetto collaterale: esempio Salvini che continua a tuonare contro gli immigrati, ma che adesso comincia a dire che quelli regolari meritano tutto il suo rispetto. Altre volte sono slalom fra luoghi comuni in cui tutto alla fine fa brodo: esempio Di Maio che vuole abolire le aperture domenicali dei negozi perché anche quelle famiglie hanno diritto al riposo.

Le competizioni entro i propri steccati toccano prevalentemente i due campi classici, ovvero la destra e la sinistra, perché M5S si colloca fuori di essi e dunque non ha competitori nel suo bacino, che cerca semplicemente di allargare erodendo i margini di entrambi gli altri.

Nel centro destra il confronto riguarda, con tutta evidenza, Salvini e Berlusconi. Il secondo ha maggior spazio di manovra ed è più abile, perché alla fine è disposto ad imbarcare tutti: pensa che come in passato alla fine sarà lui a dirigere tutti i giochi. Salvini lo attacca lanciando l’immagine della coalizione “arca di Noé”, ma è una polemica poco efficace, perché anche lui alla fine raccatta tutto quel che può, vedi Alemanno e Storace, ma vedi soprattutto la sua campagna acquisti al Sud dove per trovare un minimo di consenso non può fare tanto lo schizzinoso.

In definitiva la forza di Berlusconi è quella sua storica: far capire che lui è la diga contro i giacobinismi di quelli che vogliono buttare tutto all’aria, e siccome è furbo ha capito che i giacobini che spaventano molta parte della gente sono i Cinque Stelle e non certo i “comunisti” che sono ormai ridotti a quattro gatti (e definire il PD “comunista” sarebbe ridicolo).

Il campo del centro sinistra è oggettivamente in gravi difficoltà. Il PD non riesce a darsi una vera strategia elettorale intrappolato com’è dalla ricerca di costruire una coalizione che deve essere inventata quasi da zero. Non uno dei partiti (o sigle) che sono in predicato di entrare nell’alleanza è accreditata dai sondaggi di più del 1,5, massimo 1,8%, anzi alcuni sono sotto la soglia dell’ 1%, il che significa che alcuni porteranno comunque qualche voto da ripartire sulla coalizione (cioè sul solo PD), mentre gli altri non faranno neppure quello (ma il partito dovrà sacrificare per loro qualche collegio).

Non si capisce bene a cosa punti Renzi, che dovrebbe ormai avere capito che al momento non è in grado di personalizzare su di lui la riscossa. Si dice che sia disposto a lasciare spazio a Gentiloni, ma sarà da vedere e poi non è detto che come trascinatore di voti l’attuale presidente del Consiglio funzioni. In definitiva al momento la battaglia sembra concentrata sul far passare il messaggio che votare per il nuovo partito che ha chiamato alla sua testa Grasso (e probabilmente la Boldrini) significa di fatto aiutare la destra o i Cinque Stelle a vincere.

Ciò è assolutamente esatto dal punto di vista razionale, ma dal punto di vista politico raggranellare qualche punto dagli elettori di Liberi e Uguali non metterebbe il PD in condizioni di governare per cui è troppo facile che alla fine fra di loro prevalga, come fu nel referendum costituzionale, l’astio per la politica renziana.

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