Una partita complicata

Se dovessimo giudicare la vicenda politica italiana come una rappresentazione diremmo che non c’è mai da annoiarsi: quasi ogni giorno c’è un piccolo colpo di scena. L’ultimo è stato la faccenda dello spacchettamento dei quesiti referendari, cioè il passaggio da un solo quesito sull’intera riforma a tre, o cinque o più quesiti sulle varie parti di cui si compone.

Pareva che anche Renzi aprisse qualche spiraglio in questa direzione, ma è durato poco. La semplice ragione è che ci si è accorti che lo spacchettamento è un’operazione quasi impossibile e che non risolverebbe alcun problema. Innanzitutto la riforma non è divisibile se non quasi articolo per articolo, sicché alla fine si avrebbero o comunque quesiti ibridi, o una lista di quesiti così lunga da disorientare gli elettori. Non parliamo del risultato che si avrebbe con una serie di quesiti che vengono approvati e una serie respinti: un caos che richiederebbe nuovi interventi di riforma costituzionale (per esempio se passasse che il senato non ha più gli stessi poteri della camera, ma si bocciasse la composizione prevista dalla riforma), che peraltro avverrebbero in un clima avvelenato di diatriba politica spinta all’eccesso perché ovviamente Renzi ne uscirebbe più che azzoppato.

Si era pensato che il governo avesse preso in considerazione l’ipotesi spacchettamento perché così si poteva ritardare lo svolgimento del referendum, ma poi si è visto che si può andare avanti con le date (oggi si parla della prima metà di novembre) senza bisogno di ricorrere a quel rischioso espediente. In compenso tutte le persone raziocinanti hanno capito che lo spacchettamento non serve a nulla, perché, salvo una minoranza, la maggior parte degli elettori se votano lo fanno con una presa di posizione in blocco pro o contro la riforma. Dunque non servirebbe a niente.

Piuttosto il dibattito sembra concentrarsi sul tema sempre verde della legge elettorale. Anche qui Renzi sta facendo tattica e dal suo punto di vista ha ragione: si faccia pure una revisione dell’Italicum se il parlamento è capace di trovare una maggioranza che la approvi, anzi, prima di tutto, se è capace di mettere insieme una modifica che accontenti tutti. Perché quella è tutt’altro che un’impresa semplice.

Vediamo di spiegarci. Si dice: basta passare dal premio alla lista a quello alla coalizione. Ora, a parte la considerazione che le coalizioni della seconda repubblica (tutte: di destra e di sinistra) hanno dato cattiva prova di sé rivelandosi fattori di litigiosità costante una volta al governo, c’è da valutare come si possa evitare che il meccanismo favorisca lo spappolamento del sistema. Infatti con l’attuale limite della rappresentatività delle liste al 3% la tentazione a fare tanti partitini che poi non rischiano perché si coalizzano e anzi possono partecipare al premio è fortissima. Abbiamo visto frazionarsi in parlamento tutte le forze politiche ed è inutile ripetere qui l’elenco. Dunque l’unica soluzione sarebbe portare lo sbarramento al 4 o 5%, in modo da scoraggiare quel giochetto, ma ciò significherebbe che NCD, quel che è uscito dalla disintegrazione dell’ ex partito di Monti, Fratelli d’Italia, ma anche Sel, per non dire di ALA e novità varie, diventerebbero a rischio di eliminazione dalla scena parlamentare. Difficile immaginare che i loro parlamentari approverebbero una riforma del genere.

Del resto mantenere l’Italicum interessa molto a tutti quanti lavorano per fare del referendum l’occasione per eliminare Renzi. Infatti un cardine della loro propaganda è che la combinazione della riforma con l’Italicum crea la dittatura di un solo partito. E’ una balla colossale, ma fa molta presa. Si sorvola sul fatto che non ad un solo partito, ma ad una “lista” viene dato il premio di maggioranza e ciò significa che, coi tempi che corrono, difficilmente un partito può pensare di vincere infarcendo le liste solo dei “suoi”. Se il PD di Renzi vuol vincere la sfida del ballottaggio coi Cinque Stelle, se il centrodestra vuol contare qualcosa, sarà gioco forza costruire liste con ampie inclusioni di personale di nuova estrazione che abbia legittimazioni diverse da quelle del servizio reso nelle stanze dei partiti. Verrebbe da dire: Milano insegna, e non ci sembra difficile da capire.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina