Una partita risolutiva?

Il dibattito sulla legge elettorale è approdato alla Camera. Il Governo e Mattarella si sono arresi sull’uso della fiducia

Il dibattito sulla legge elettorale è approdato alla Camera e si pensa che questa sarà la prova risolutiva per valutare come potrebbe evolversi il futuro politico del nostro paese. Innanzitutto perché si vedrà se questa classe politica, destinata in non piccola parte a non essere riconfermata, si arrenderà a lasciar passare una legge che non lascia margini a chi non è nelle grazie delle segreterie dei partiti. Noi non siamo tra quelli che amano le polemiche sui “nominati”, per la semplice ragione che non c’è spazio nei sistemi elettorali per candidarsi con successo se non si è sostenuti da qualche potere: il giochetto delle preferenze semplicemente permette che forze organizzate nei partiti e attorno ad essi sfidino l’organizzazione che fa capo alle segreterie. Niente a che fare con la mitica libertà dell’elettore di scegliersi i migliori rappresentanti, che, fra il resto, in un sistema democratico con circolazione dei consensi si esercita spostandosi da un partito all’altro senza problemi (altra cosa era quando in qualche modo ogni elettore era parte di un “mondo chiuso” e doveva di necessità scegliere all’interno di quello).

Ovviamente una parte della classe politica non la pensa così e si prepara nel silenzio degli scrutini a voto segreto a tentare di far saltare tutto. Se ci riusciranno dipende da quanti sono cosa che al momento non si riesce a valutare. I partiti favorevoli alla nuova legge si sono spaventati e hanno deciso di reagire con l’arma atomica: il ricorso al voto di fiducia che rende molto difficili i giochetti a scrutinio segreto.

Certamente la legge in discussione non è che sia una meraviglia, ma è meglio del caos tutto proporzionale a cui saremmo condannati se si votasse con i moncherini di legislazione lasciati in piedi dalla Consulta. Girano calcoli dei vari “tecnici” su come andrà a finire, ma sono da prendere con le pinze, perché molto dipende da cosa ci capiranno gli elettori di un meccanismo poco logico e quanto si faranno guidare da calcoli razionali e quanto dal desiderio di dare un calcio negli stinchi a questo o a quello (compresa la tentazione a starsene a casa perché non interessa più partecipare ad una partita di cui si fatica a comprendere le regole).

Per questo è strumentale la polemica dei Cinque Stelle secondo cui nei collegi uninominali sarebbero penalizzati perché non si coalizzano. Chi vota per loro lo fa per convinzione e li sceglierà comunque. Certo essi temono la somma dei voti dei loro avversari a cui è data la possibilità di coalizzarsi, mentre per loro sarebbe più semplice batterli se si presentassero divisi. Ma non c’è ragione per giudicare non accettabile (addirittura anticostituzionale) l’uso di uno strumento come la alleanza elettorale fra forze diverse, perché è uno strumento che è teoricamente disponibile per chiunque. Oltre tutto la formazione di coalizioni eterogenee e puramente strumentali è un’arma notevole nelle mani di chi le avversa, perché denunciandole possono facilmente far leva sui sentimenti antipolitici che sono molto diffusi.

Quanto detto per M5S vale ovviamente anche per MDP, per Fratelli d’Italia e per tutti quelli che gridano allo scandalo contro questa tecnica elettorale, che peraltro si applica solo al 35% dei seggi, quelli sui collegi uninominali. Il problema è un altro: riuscirà questa legge a darci comunque un parlamento governabile e governante? E’ qui che la risposta risulta più che difficile quasi impossibile.

Si insiste molto sul tripolarismo del sistema, anzi adesso il geniale D’Alema e soci vorrebbero renderlo quadripolare. Ci permettiamo di osservare che il problema è quello vecchio che c’era anche quando avevamo un sistema simil-bipolare: non ci sono due, o tre o quattro blocchi compatti, ma litigiose federazioni di fratelli-coltelli. Il centrodestra secondo i sondaggi avrebbe la prevalenza? Ma è un assemblaggio che vede insieme il radicalismo barricadiero di Salvini e la riscoperta vocazione moderata di Berlusconi. Il centrosinistra vuole rinascere come campo largo, ma poi sarà la convivenza di un partito assai robusto, il PD, con formazioni minoritarie alla continua rincorsa di una visibilità da esercitare con poteri di veto e con bandierine ideologiche issate per provare l’esistenza in vita e il potere dei vari partitini-corrente.

Del resto nemmeno l’ipotetico “quarto polo” degli scissionisti dal PD è una forza compatta perché mette insieme delle sigle minori che non saranno tanto disponibili a farsi inquadrare banalmente dall’attuale vertice di MDP (in cui fra l’altro c’è abbondanza di prime donne).

Questo quadro non verrà razionalizzato dalla legge elettorale di cui si discute, perché pur con qualche acrobazia in quella rimane spazio per tutte le dinamiche che abbiamo sommariamente descritto. Al momento ciò che ha dominato è ancora una volta la disperazione che vede come unica soluzione il forzare la mano ad un parlamento preda di lotte correntizie e ad una classe politica tutta intenta ai suoi litigi.

Si è valutato che l’ennesimo fallimento di un tentativo di riforma della legge elettorale avrebbe fatto fare una pessima figura all’Italia e che una tornata elettorale con i moncherini di legge lasciati sul campo dalla Consulta avrebbe dato vita ad un parlamento da incubo. E’ questo che crediamo abbia convinto Gentiloni e Mattarella ad arrendersi sull’uso della fiducia pur di avere una legge non ottima, ma preferibile al caos esistente che non si sapeva come sanare in altro modo (l’ipotesi del decreto governativo all’ultimo minuto per armonizzare i moncherini sarebbe stata una manipolazione ben peggiore).

Basterà? Ne dubitiamo, perché si offre troppo il fianco alle intemerate populiste da un lato e alla disillusione sulla qualità della classe politica dall’altro.

vitaTrentina

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