Una politica indecifrabile

Le elezioni amministrative, come è prassi in Italia, non hanno portato chiarezza nel dibattito politico. Al di là del solito giochetto per cui tutti hanno vinto (pur questa volta giocato con qualche cautela verbale in più), la realtà è che tutti sono usciti provati da questo test. Ovviamente il M5S che ha visto venire al pettine alcuni nodi: il suo scarso radicamento territoriale e la sua incapacità di promuovere una nuova classe dirigente diffusa; il rimbalzo della scadente performance della sindaca Raggi a Roma, inutilmente difesa dall’establishment grillino; una certa stanchezza della pubblica opinione a fronte del profluvio di comparsate televisive dei suoi leader più in vista che sanno fare solo i maestrini supponenti che dispensano voti a tutti.

Però non è che sia andata benissimo neppure per i grandi partiti, che quasi dovunque hanno dovuto affiancarsi a liste civiche a testimonianza del fatto che c’è poca disponibilità da parte del corpo elettorale a lasciare i giochi nelle mani delle loro nomenclature. E’ un fatto che colpisce l’assenza fra i candidati sindaci di almeno qualche nome realmente di rilievo nazionale, se si eccettua Leo Luca Orlando a Palermo, che ha perso smalto e vince più che altro per l’assenza di correnti all’altezza.

Il bilancio finale di questa tornata si farà con gli esiti dei ballottaggi, ma, a parte la conta su chi prevarrà numericamente fra centro destra e centro sinistra, non ci sarà molto da analizzare, se non capire dove andranno i voti che M5S ha raccolto al primo turno. Certamente questo dato aiuterà a capire qualcosina di più dello stato di salute del movimento.

Nel complesso però i risultati elettorali sono già stati digeriti, perché si è riaperta la stagione politica in vista della scadenza elettorale nazionale che ora si ritiene arriverà alla scadenza naturale della legislatura. Renzi, che ha capito quanto siano infide le acque in cui gli tocca navigare, non ha più fretta di andare al voto, perché sembra essersi dissoltolo spettro della legge finanziaria lacrime e sangue da fare ad ottobre. Le statistiche sull’economia stanno andando bene e la UE ne trae motivo per concedere all’Italia margini di flessibilità. Lo fa soprattutto perché ha capito che con le turbolenze che ci sono in giro non avrebbe alcun senso spingere l’Italia nel girone dell’antieuropeismo, ma tant’è.

Resta l’enigma della legge elettorale che non si sa se verrà fatta e in che modo. Qualcosa dovrà arrivare per forza perché altrimenti la speranza almeno di avere equilibri complementari fra Camera e Senato sarebbe cancellata e questo vorrebbe dire non poter contare su un governo che superi la prova delle due fiducie.

Al di là di quale legge elettorale si riuscirà alla fine a varare, resta però aperto il problema di un quadro politico difficilmente decifrabile, perché le maggioranze di governo dipendono da quello non meno che dalle norme per trasformare i voti in seggi. Ora un premio di governabilità, che sembrerebbe il suggerimento che circola, può funzionare se ci sono coalizioni sufficientemente stabili che possono concorrere per vincerlo. Certo potrebbe andare ad un solo partito, come M5S proclamava di voler fare, ma sembra piuttosto difficile, visto come si stanno mettendo le cose che sia in grado di raggiungere la percentuale di voti necessaria.

Sul fronte del centrosinistra la confusione è totale. La retorica sul nuovo Ulivo è uno specchietto per le allodole, perché il magma di colonnelli con scarsi eserciti che si muove alla sinistra del PD non è in grado di trovare una sintesi che gli permetta di allearsi con quella che rimane la componente decisiva e che, piaccia o meno, è il partito di Renzi. Pisapia si illude di poter fare il federatore, ma i personalismi e le cecità ideologiche, rafforzate dal mito della vittoria del no al referendum costituzionale, difficilmente gli consentiranno di portare a termine un progetto razionale.

Nel centrodestra la distanza fra l’aggressivo lepenismo di Salvini e il ritrovato moderatismo centrista di Berlusconi è molto alta. A livello locale si può anche far finta di niente e governare insieme nell’interesse di controllare il potere comunale, ma a livello nazionale sarà molto difficile farlo.

Eppure se non si riesce a chiarire questo panorama fra i partiti sarà impossibile arrivare ad una tornata elettorale che dia come frutto un governo in grado di guidare finalmente il paese fuori da una crisi che è durata troppo a lungo.

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