Una politica sempre più senza bussola

Delegittimare la Banca d’Italia non è la scelta migliore per accreditarci nel contesto internazionale

L’ultima notizia è la mozione presentata dal PD contro la conferma del governatore Visco alla testa della Banca d’Italia. E’ stata approvata con buona maggioranza (231 sì, 97 contro, 99 astenuti), segno che Renzi aveva fiutato che la classe politica non si fida del governatore e vuole giocare la partita per la sua successione. Tuttavia è stata una mossa più che rischiosa per almeno due motivi: il primo è che con la attuale delicata situazione economica, con il sistema bancario sotto accusa, delegittimare la Banca d’Italia non è la scelta migliore per accreditarci nel contesto internazionale; il secondo è che nell’attuale caos politico immaginarsi di tirare fuori dal cappello il coniglio-governatore che risana e ricompatta tutto è puro delirio (e rimandare tutto al nuovo parlamento significa aprire una fase di “terra di nessuno” che durerà cinque o sei mesi). Non è un caso che la Presidenza della Repubblica si sia affettata a diramare una nota in cui si richiamava la delicatezza del tema in questione e l’inopportunità di intervenire con leggerezza e mancanza di consapevolezza degli equilibri istituzionali.

L’impressione, ma ormai più che l’impressione è che più o meno tutti puntino a buttarla in caciara, convinti che solo in un clima del genere si possono guadagnare consensi. Tutti danno per scontato che con la cervellotica legge elettorale che si sta preparando bisogna andare ad una campagna elettorale pesantemente demagogica. Si saranno notate le avvisaglie piuttosto chiare. Innanzitutto i due candidati alla leadership del dibattito (quella del paese e del governo è un altro paio di maniche), cioè Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, sono tornati a cavalcare l’immagine del duello mortale fra centrodestra e centrosinistra, convinti che sia l’unico schema a cui la pancia del paese è affezionata. Per ora ci risparmiano la demonizzazione reciproca, ma temiamo che fra un po’ saranno spinti a riesumarla.

I Cinque Stelle hanno già indossato i panni dei martiri del sistema attaccati da tutti: la legge elettorale è contro di loro, le inchieste sui loro amministratori (da ultimo anche la sindaca di Torino che era la loro immagine “buona”) sono fatte per accerchiarli, tutto il mondo li teme perché con loro al potere arriverebbe il castigamatti per tutti.

L’estrema destra e l’estrema sinistra fanno a gara per propagandare cupi scenari per il futuro e si attaccano ad ogni piccolo o medio evento di cronaca per confermare le loro virtù profetiche col supporto ciascuno di una stampa compiacente che volentieri si sdraia sulle loro tesi.

In un clima del genere non c’è da meravigliarsi che ci sia un gran lavorio di partitini vecchi e nuovi incentivati dalle norme della legge elettorale che consentono a chi raccoglie fra l’uno e un risultato sotto il 3 per cento di far confluire quei voti su una coalizione con cui si apparentano. E’ un modo per tenere in piedi le clientele garantendo loro che si tratta di pacchetti di voto che non andranno perduti, perché si potrà poi chiedere conto e contraccambio per l’aiuto prestato.

Al momento non c’è da meravigliarsi se la retorica di tutti è quella del cantare vittoria in anticipo. Il centrodestra perché è dato nei sondaggi come la coalizione col maggior numero di consensi e perché spera che il suo possibile successo in Sicilia faccia da traino. Il PD con la sua cerchia di piccoli satelliti perché è convinto che alla fine gli elettori non rischieranno e sceglieranno il cosiddetto “voto utile” di cui si sentono i naturali destinatari. I Cinque Stelle perché contano sul disgusto che cresce nel paese verso una politica scarsamente comprensibile e pensano di avere trovato il mix vincente fra vittimismo e aggressività. L’estrema sinistra perché considera una vittoria la sconfitta di Renzi e pensa che il fantasma di un pericolo di destra aumenti i loro consensi.

Così però non si fa politica. Già i margini per qualsiasi azione riformatrice sono stretti, sia perché non ci sono risorse economiche disponibili come certifica la proposta della attuale finanziaria, sia perché politiche di riforma che non implicano costi finanziari richiedono invece un impegno di lungo termine cioè un fattore che non è disponibile per un governo a fine corsa.

Il rischio che continua ad essere sottostimato dalle forze responsabili è che il clima che abbiamo chiamato di caciara allontani dal voto quote di elettori responsabili che sono delusi da questo andazzo. Ciò andrà a favore degli estremisti radicali di ogni raggruppamento che invece in quel clima nuotano come pesci nell’acqua. Si ricordi però che è difficile in questo momento non solo valutare chi dispone del maggior numero di seguaci radicalizzati, ma capire quanto variegata sia la platea dell’offerta in grado di attirarli.

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