Una scena politica complicata

Chi credeva che la tragedia del terremoto potesse mettere un freno alle tensioni politiche che percorrono il paese dovrà ricredersi e non in questo caso perché Renzi spinga sull’acceleratore della drammatizzazione politica. Al contrario il premier sta cercando di recuperare un certo spirito collaborativo che coinvolga il paese nel suo complesso, ma una parte almeno delle forze politiche è poco incline ad approfittare dell’occasione.

Il fenomeno è piuttosto strano. La gente è stanca di diatribe politiche che capisce poco, si preoccupa di una stagnazione economica che non sembra realmente in via di soluzione (si vedano i rilievi sul tasso di fiducia di consumatori ed imprese). Una parte crescente dei gruppi dirigenti è consapevole dell’esistenza di un contesto internazionale preoccupante: politiche aggressive della Turchia, Russia in espansione di influenza, situazione complessa in Europa con ormai le elezioni in Germania e Francia che entrano in scena, Stati Uniti alla vigilia di un confronto sulle presidenziali che non si annuncia affatto tranquillo. Ce ne sarebbe abbastanza per auspicare a casa nostra una certa stabilità di indirizzo politico, considerando che senza quella le nostre possibilità di affrontare positivamente questi orizzonti di crisi diminuiscono.

In realtà la situazione di concordia nazionale indotta dallo choc del terremoto è durata pochissimo. La variopinta coalizione antirenziana non è disponibile a disarmare, il che è pure comprensibile dal suo punto di vista: anche se Renzi ha dichiarato di non voler politicizzare gli interventi post terremoto e di non volerli ascrivere a suo merito esclusivo, è un fatto che l’eventuale successo nella gestione di questo passaggio difficile andrebbe a consolidare il consenso al governo.

Alcuni notano che in più Renzi non si è di fatto reso disponibile a mettere in piedi una cabina di regia che coinvolgesse istituzionalmente le opposizioni e questo non sarebbe positivo. Può essere vero in astratto, ma in concreto, considerando da chi è formata l’opposizione, si sarebbe trattato di creare un ingranaggio che avrebbe lavorato più che altro per porre dei veti reciproci rendono difficile e lunga ogni decisione, cioè esattamente il contrario di quel che ci vuole nelle emergenze.

Così da un lato le opposizioni parlamentari hanno cominciato a bersagliare il governo: da Salvini, a Brunetta, ai Cinque Stelle, è stato tutto un coro di critiche sostanzialmente preconcette. Indicativa l’opposizione alla nomina di Errani a commissario per la ricostruzione, considerando che si tratta dell’unico uomo politico libero da impegni istituzionali che abbia una reale esperienza di gestione di una ricostruzione post terremoto. Gli altri nomi che sono stati fatti girare, sono quelli di persone degne, ma che in quel campo concreto non hanno alcuna esperienza.

L’eccezione parziale a questo panorama è venuta da Berlusconi. Rientrando di fatto nella politica attiva, l’inventore di Forza Italia ha dato ampia disponibilità di collaborazione parlamentare col governo. Certo ha attenuato la posizione con la specificazione che si tratta solo della politica post terremoto, per il resto l’opposizione a Renzi rimane intatta, ma si capisce che è una tattica volta sia ad alzare il prezzo della collaborazione sia a tenere buoni i pasdaran del suo vecchio partito. In realtà gli osservatori inclinano a ritenere che si tratti di una manovra per rilegittimarsi in vista di possibili necessità future di “larghe intese”, vuoi perché il referendum costituzionale potrebbe avere un esito destabilizzante, vuoi perché le varie crisi all’orizzonte potrebbero comunque richiedere un consolidamento politico prima della scadenza della legislatura. Senza dimenticare che se la Corte Costituzionale imponesse in ottobre di ritoccare parti della legge elettorale ci sarebbe da affrontare un difficile passaggio parlamentare.

La situazione insomma si sta rimettendo in movimento e vedremo quali saranno gli sviluppi. Al momento a rifiutarsi di disarmare non sono solo le opposizioni per così dire “esterne”, ma anche quelle dentro il PD e questo è l’aspetto più sconcertante della situazione attuale, perché non si riesce a comprendere come queste componenti non si accorgano di aspirare a segare il ramo su cui sono sedute.

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