Utero in affitto, tema inosservato

Caro Pier, nei giorni scorsi la nostra città ha ospitato il Dolomiti Pride. Da una parte suscita simpatia e vicinanza la gioia di chi può manifestare liberamente la propria identità, spesso dopo aver subito discriminazioni e ostilità. Dall'altra è passato quasi inosservato un aspetto più controverso: la richiesta di legalizzazione della pratica commerciale dell'utero in affitto. L'unica voce critica che sì è levata a riguardo è stata paradossalmente quella di Arcilesbica. Eppure è un tema al quale qualsiasi cattolico può essere sensibile. Tu cosa ne pensi?

Paola

Ho partecipato come osservatore e simpatizzante al Dolomiti Pride. Mi ha colpito il numero e la varietà delle persone presenti. Era la prima volta che assistevo a una manifestazione del genere. Mi sono dovuto ricredere su molti pregiudizi. Di solito si pensa a sfilate caratterizzate da eccessi, trasgressioni, volgarità, provocazioni di ogni genere. Invece è stato un corteo simile a quello che si può vedere a carnevale. Attenzione però: non si tratta di una “carnevalata”. A mio avviso il Dolomiti Pride ha avuto così grande successo (in una città come Trento, reduce poi dall’Adunata degli alpini e dal Festival dell’economia) perché si è svolto in una temperie culturale e politica preoccupante soprattutto per i toni che si utilizzano verso – e spesso contro – ogni diversità. Non si tratta dunque soltanto della questione omossessuale benché, per capire da che parte stare, basterebbe conoscere le persecuzioni subite nel mondo da quanti semplicemente vogliono essere se stessi. I diritti degli omosessuali sono una questione di dignità umana della persona. Quella dignità che giustamente la Chiesa auspica sia riconosciuta a tutti, a prescindere.

Chiaramente la tua domanda riguarda però altro, cioè rivendicazioni più concrete e più controverse. Hai fatto bene a segnalare la posizione critica di Arcilesbica, segno che anche in questo caso non esiste una “comunità” omosessuale granitica e indifferenziata, ma gruppi diversi, individui con sensibilità variegate. Quindi si può aprire una discussione.

Anche in questo caso però occorre fare molta attenzione. Il Dolomiti Pride non aveva sicuramente al centro la questione del cosiddetto “utero in affitto” – dizione usata appositamente per destare immediata ripulsa –, che è sicuramente condannabile, ma va compreso in tutte le sue sfumature. Su questo aspetto giungono dall’Asia notizie inquietanti come quella della scoperta in Vietnam: è stata sgominata un rete di trafficanti di madri “surrogate” che “vendevano” la propria gravidanza. Gli “acquirenti” sarebbero famiglie cinesi perché recentemente in Cina si è allentata la legge che obbligava al figlio unico. Per questo Thailandia ed India impediscono agli stranieri di accedere ai servizi di maternità surrogata commerciale. Tuttavia vere e proprie agenzie di maternità surrogata si sono spostate con rapidità nella vicina Cambogia, che ha seguito l'esempio e vietato l'industria l'anno seguente. Sarebbe strano se noi invece agissimo al contrario. Nessuno credo voglia legalizzare una “pratica commerciale”: se invece fosse così bisognerebbe opporsi.

Il problema è il commercio che veramente ridurrebbe la donna a “oggetto”. Perché spesso non si può giudicare attraverso una norma morale oggettiva. Alla fine conta di più l’intenzione dei cuori o il principio universale? A volte si ragiona troppo per principi, non capendo che è la realtà concreta alla fine a determinare buona parte delle nostre scelte. Mi sia permessa una battuta. Una volta era praticamente proibito ai fedeli di leggere la Bibbia. Forse perché c’era il rischio di incappare in episodi diametralmente opposti alla morale che si insegnava. Abramo, poiché la moglie Sara non aveva figli, senza troppi problemi ha avuto una discendenza dalla schiava Agar. Tamar ha un figlio con il suocero, ingannandolo. E le narrazioni si potrebbero moltiplicare.

Ritornando al nostro discorso, mi preoccupa maggiormente più che la moralità o meno di un comportamento (non si può mai giudicare con troppa facilità, specie per quanto riguarda la sfera sessuale) il fatto che sia la tecnica a decidere per noi. Non il sentimento o l’etica. La tecnica ci offre tantissime possibilità ma spesso ci illude, perché ci presenta una libertà di azione smisurata che però rischia di renderci meno umani. Per questo la tecnica legata alla procreazione deve essere accompagnata da limiti precisi. Esiste anche un equilibrio naturale. È necessario rapportarsi anche a un modello ideale, seppur rendendoci conto della complessità del vivere in cui spesso non ci sono solo il bianco e il nero.

Quindi più che il problema sul proibire o legalizzare, la questione riguarda la necessità, soprattutto da parte cattolica, di presentare modelli positivi, non artificiali o tecnologici, in grado di riconoscere i limiti della nostra fragilità, sapendo rinunciare anche a qualcosa. È il modello proposto dal magistero di Francesco. Forse non bisogna avere troppa paura del futuro. Oppure rintracciare soltanto l’avanzare delle tenebre. Piuttosto incarnare noi stessi quello che vorremmo vedere negli altri; cercare di costruire noi relazioni solide e appaganti; comprendere le scelte altrui pur mantenendo le nostre convinzioni.

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