Religione, rivelazione ed etica

Se bastasse la ragione per capire Dio, a cosa servirebbe la rivelazione?

Avevo concluso la mia ultima riflessione sottolineando la necessità di preservare la trascendenza di Dio. Ogni iniziativa divina viene da un altrove che non possiamo conoscere pienamente. La voce di Dio che comanda ad Abramo di andarsene dalla propria terra, che, dal Roveto ardente, rimanda Mosé in Egitto e che parla ad Elia come un sussurro impercettibile di brezza, non viene dal mondo, non fa parte della natura e non è neppure una percezione soggettiva e intellettuale.

Dio irrompe dall’oltre, dall’al di là, da un orizzonte diverso rispetto a quello dei nostri sensi.

Dio è l’alterità, l’ulteriorità assolute. L’uomo cerca di attingere qualcosa da questa trascendenza. I suoi sforzi però arrivano a un livello molto basso di comprensione. Forse i mistici riescono a cogliere tracce, immagini, orme dell’identità di Dio: ma sono soltanto l’ombra della luce.

Quasi tutte le religioni allora presuppongono una rivelazione divina all’uomo. In vari modi Dio, per sua iniziativa, si mette in contatto con l’uomo. In modo diversissimo tra di loro, secondo le differenti culture ed epoche storiche, le diverse fedi hanno interpretato questa unica verità condivisa, che cioè Dio ci parla da un altrove. Queste rivelazioni non sono, come si dice oggi, frutto della capacità adattativa della nostra specie che, nel corso di migliaia di anni, si è “inventata” una dimensione sovrannaturale. Certamente quanti ragionano secondo una mentalità materialista, tagliano ogni possibile legame con il divino. Questa è una posizione rispettabile, ma è diversa da quella “religiosa” (uso questo aggettivo solo per intenderci).

La mentalità corrente tuttavia mette confusione anche a chi si professa credente, pur rigettando la possibilità stessa di una rivelazione esterna all’universo visibile: Dio diventa immanente al cosmo e si rapporta esclusivamente all’intimo della nostra coscienza. Così il “teologo” Vito Mancuso, che spopola anche nelle parrocchie, riscuote un enorme successo proprio perché propone l’idea di un Dio indistinguibile dall’energia presente nell’universo descritto dalla scienza, sovrapponibile al processo di evoluzione cosmica. Rigettata ogni prospettiva biblica, Mancuso sostiene il primato dell’io, inteso come unico luogo in cui Dio si può “rivelare”. Siamo al soggettivismo più estremo o al panteismo. Decidete voi.

Proprio oggi quanti affermano di avere fede in Dio devono sottolineare che Dio non è, se così si può dire, interno al mondo: i suoi comandamenti non sono qualcosa di “naturale” cioè razionalmente deducibile da verità scritte da sempre nel cuore umano. Se bastasse la ragione per capire Dio, a cosa servirebbe la rivelazione? Nello stesso tempo però le parole di Dio venute da altrove, non sono irrazionali, utilizzano il linguaggio degli uomini e corrispondono perfettamente alle nostre più profonde aspirazioni. Dio è un mistero irraggiungibile, ma ugualmente è vicinissimo a noi. I credenti dovrebbero seguire i comandamenti non perché siano espressione della “legge naturale” ma perché voluti da Dio!

Questa affermazione può anche farci paura: che fatica distinguere i veri comandi di Dio! Quanto sangue è stato versato e continua ad essere ad essere versato da quanti credono di eseguire la volontà divina. Per questo Benedetto XVI più volte esortava le religioni a un continuo processo di purificazione interna, anche guardando dentro la propria storia e il proprio passato. Nessun Dio chiama alla guerra e alla morte.

Fino a pochi decenni fa la Chiesa presentava la necessità di eseguire molti dei suoi precetti come l’unica via per non finire all’inferno. Ora, per esempio di fronte a scottanti questioni etiche (come quelle bioetiche), la Chiesa utilizza un linguaggio “razionale” per difendere la sua visione, appellandosi ad argomentazioni filosofiche, sociali e politiche, comunque del tutto opinabili. Si “difende” la famiglia perché altrimenti la società si sfibrerebbe, perché i figli risentono di genitori separati o mai sposati, perché la “legge naturale” prevede che il matrimonio sia quello esclusivamente tra un uomo e una donna. Tutte riflessioni giuste e condivisibili, utilizzate per farsi capire dalla mentalità contemporanea, ormai secolarizzata e lontana da una qualsiasi sensibilità religiosa.

Tuttavia bisogna ricordare che l’etica cristiana si fonda in ultima analisi sulla fede. Se scompare la fede anche ogni visione etica cade. E dato che non tutti posseggono il dono della fede, l’etica pubblica e le leggi dello Stato devono tenere conto di altri approcci etici poiché viviamo in un contesto plurale.

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