Sulla preghiera

Un modello? I Salmi. Nei Salmi incontriamo tutte le sfumature del nostro possibile rapporto con Dio

Mi sono chiesto spesso, a volte con dubbi e perplessità, che cosa significhi davvero la preghiera. Di solito pregare vuol dire chiedere una grazia, o in generale qualcosa di positivo, a Dio o a qualche divinità nei momenti in cui la vita ci presenta situazioni particolarmente difficili. La preghiera come richiesta, da sempre presente in ogni cultura fin dall’età primitiva dell’umanità, è forse la forma più comune di invocazione all’alto: così si sono rivolte verso il cielo persone di ogni religione, credo, sensibilità, epoca; così si è rivolto verso il Padre Gesù stesso in molte occasioni, soprattutto quando l’angoscia lo tormentava.

Tuttavia ridurre la preghiera a una sorta di elargizione di Dio che obblighiamo a venirci incontro perché abbiamo problemi, può provocare esiti sconcertanti. Ci si ricorda di Dio quando i mezzi umani sembrano fallire, ci si dimentica quando si sta bene, salvo poi rimanere interdetti se la propria preghiera non viene esaudita. Allargando lo sguardo ci si potrebbe domandare come Dio non ascolti le invocazioni dei disperati della terra oppure perché faccia così grandi discriminazioni, accogliendo le richieste dell’uno e lasciando al suo destino l’altro. Quante preghiere non vengono esaudite! Chiediamo cose sbagliate, ci rivolgiamo a Dio in modo errato, oppure siamo sbagliati noi, siamo in peccato? Oppure Dio è distratto e il suo comportamento incomprensibile?

Credo che il modello per la preghiera siano i Salmi della Bibbia. Già la presenza della raccolta dei salmi è un paradosso: nella Parola di Dio ci sono parole umane; Dio si rivolge a noi attraverso le parole che noi rivolgiamo a Lui, ci insegna a pregare attraverso le nostre preghiere. Così si instaurano una relazione e un dialogo concreto. Nei Salmi incontriamo davvero tutte le sfumature del nostro possibile rapporto con Dio: lode, stupore, rabbia, amarezza, rendimento di grazie, benedizione, richiesta di aiuto, angoscia per la propria condizione, esaltazione di Dio, disillusione, gioia. Tutto questo è preghiera. È un ricordarsi di Dio in ogni circostanza, bella o brutta che sia.

Paolo, in un passo della Lettera ai romani, dice di essere perseveranti nella preghiera. Questo significa soltanto non stancarsi di bussare alla porta di Dio, come la vedova della parabola che continua a tormentare il giudice iniquo finché non le sia fatta giustizia? Penso che l’apostolo volesse esortare a sperare in ogni istante nel Signore, a modellare la propria vita secondo la prospettiva liberante di Cristo. Pregare significa tendere sempre verso l’alto. E farlo anche nelle avversità, come nella prosperità. Se stai male, se le cose non funzionano, se la malattia incombe e la morte sembra avvicinarsi, Dio sta ancora lì, benché in silenzio.

In certe occasioni, se così si può dire, la preghiera degli uomini è più tenace di Dio. Solo la spiritualità ebraica può raggiungere questi vertici di comprensione paradossale della fede. In uno splendido poema intitolato “Gli dei cambiano, le preghiere restano”, il poeta ebreo Jehuda Amichai afferma che gli dei (cioè i valori, i modi di pensare, le religioni, la nostra percezione della realtà soprannaturale, Dio stesso) possono cambiare, risorgere, svanire, essere costruiti e invocati a nostro piacimento, sfuggire alla nostra comprensione come una scala a chiocciola che si inerpica verso l’ignoto. Dio può andarsene, può essere cacciato, estromesso. Ma le preghiere no, quelle restano, quelle sono davvero immutabili e perenni. A volte servono per sostenere la nostra vita, a volte servono per tenere in vita Dio, o meglio il nostro rapporto con il divino. Finché ci sarà la preghiera, ci sarà un briciolo di umanità.

Insegnare a pregare diventa allora un compito fondamentale. Qualsiasi tipo di ricerca dice che anche chi si professa non religioso è attratto dalla dimensione spirituale e interiore della preghiera. Molti però fuggono dalle forme tradizionali, spesso perché non ne conoscono in maniera approfondita il valore, spesso perché esse sono davvero superate. Ecco, in cuor suo, ognuno di noi dovrebbe trovare la propria via per la preghiera. Le nostre comunità dovrebbero essere comunità curanti che riescano a dare spazio alla spontaneità, ovviamente restando nella cornice del deposito della fede che abbiamo ereditato dai nostri padri. Perché la preghiera è davvero una linfa indispensabile che corrobora, sostiene, vivifica.

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