Un tempo “riempito”

Vogliamo essere i padroni del tempo. Sappiamo bene però che soltanto Dio è sopra il tempo

Il proverbio “L’Epifania tutte le feste si porta via” viene preso alla lettera dalle varie pubblicità televisive e non: già dal 6 gennaio infatti arrivano i primi annunci di nuove occasioni per spendere e consumare. San Valentino, carnevale. Sappiamo che, sempre all’Epifania, durante la liturgia in chiesa si annunciano le date delle ricorrenze successive, come l’inizio della Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste e così via. Il calendario, cioè la misurazione del tempo, riveste un’importanza fondamentale per ogni religione e per ogni società, è lo specchio di intere civiltà, un grande strumento di potere, da sempre in mano a sovrani e a sacerdoti. Il calendario tende sicuramente ad essere una descrizione più o meno oggettiva del trascorrere delle stagioni, ma, al contempo, delinea i valori più profondi di intere comunità umane.

Una delle caratteristiche peculiari della civiltà europea moderna è la precisione con cui viene scandito il tempo. Già in ambiente monastico la giornata era segnata dalle “ore”, momenti di preghiera fissati che accompagnavano l’arrivo della luce, il percorso diurno del sole, il crepuscolo, la notte e di nuovo l’attesa del giorno. Tuttavia, specie durante la notte, i tempi si dilatavano assumendo gli spazi indefiniti appunto dell’attesa della luce, di un qualcosa che deve venire. Era un tempo gravido di futuro, aperto alla novità.

Il tempo della scienza moderna, simboleggiato dall’orologio, è completamente diverso: esso ripete se stesso all’infinito. È preciso, oggettivo, immutabile. Non può aprirsi alla novità, bensì soltanto alla programmazione. Le leggi scientifiche ci consentono di predire il futuro, un futuro che però è identico al passato. Il tempo scorre inarrestabile. Infine però torna in un certo modo su se stesso. Anche le rivoluzionarie teorie del secolo scorso -quest’anno si ricordano i 100 anni dalla relatività generale di Einstein-che hanno sconvolto la concezione stessa del tempo, non si discostano molto dall’idea che si possa misurare e calcolare precisamente ciò che avverrà, proprio perché sarà uguale a ciò che è già avvenuto.

Se il tempo della precisione conduce a questo, il tempo nell’epoca del consumismo porta alla cancellazione della personalità e della libertà. Siamo costretti a inseguire scadenze, a organizzare la nostra vita fin nei minimi particolari. Si corre da mattina a sera. Non parliamo delle famiglie con figli: dato che i bambini devono essere impegnati in molteplici attività, le giornate sono senza respiro per i genitori. Musica, scuola, danza, discipline sportive, teatro, cinema, divertimento. Magari viene infilata anche l’ora settimanale di catechismo… Tutto però è un vortice alienante.

Non esiste respiro neppure per i giovani che, per raggranellare una retribuzione decente, devono fare cinque o sei lavori diversi in contemporanea. Ciò può stimolare la creatività, sicuramente genera ansia e nervosismo.

Forse i vecchi delle case di riposo hanno tempo. Troppo tempo, scandito dalla solitudine. Le ore della malattia e della sofferenza sono interminabili. Rispetto alla frenesia della vita delle persone efficienti, la percezione del vuoto è la caratteristica di chi, per svariati motivi, non si sente parte di questo mondo, perché non ce la fa più a rincorrerlo.

Come rispondere da cristiani a questa situazione? Innanzitutto con la consapevolezza di essere anche noi immersi in questo affannarsi, in questo programmare. Vogliamo in un certo modo essere i padroni del tempo. Sappiamo bene però che soltanto Dio è sopra il tempo. Soltanto Lui può guidare la nostra vita. Se riuscissimo a comprendere davvero questo, in un lampo saremmo più liberi, meno schiavi di una ossessiva corsa. In questo modo potremmo anche recuperare un senso diverso del passato, visto come il luogo in cui rintracciamo i segni del passaggio del Signore. Così anche il tempo passato può essere di nuovo riempito. E ora può non farci più paura il futuro.

Continueremo a programmare, a progettare, a immergersi in questo perpetuo trascorrere, senza che ci manchi l’aria, sapendo di avere una meta davanti.

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