Una Parola di povertà e di riconciliazione

Lasciare gli orpelli del potere mondano non vuol dire vendere la Cappella Sistina, quanto invece riuscire a relazionarsi in maniera nuova con il prossimo

Mentre scrivo questo articolo la comunità cattolica e tutto il mondo sono in trepidante attesa di sapere il nome e il volto del successore di Benedetto XVI. Il lettore invece forse lo saprà già. Impazzano i pronostici, tutti fanno previsioni e cercano di capire quali saranno le scelte dei cardinali elettori. Ognuno poi dà la propria agenda per il nuovo pontefice: riforma della Curia romana, collegialità nella Chiesa, lotta alla pedofilia nel clero, abolizione dello Ior per far posto a una Banca etica (proposta di Famiglia Cristiana), rivisitazione di alcuni aspetti etici, evangelizzazione dell'Europa e degli altri contenenti, ricerca di nuovi modi di trasmettere la fede. Al centro ci dovrà comunque essere sempre il Vangelo di Gesù Cristo.

Il nuovo Papa dovrà continuare l'opera di Joseph Ratzinger soprattutto per quanto riguarda quella che si può definire come la riforma spirituale della Chiesa, intesa come la comunità dei credenti in Cristo. Una riforma interiore, profonda e attuata secondo l'invito biblico di convertirsi, di ritornare cioè a Dio. L'anno della fede servirebbe proprio a questo. Sono tre i pilastri su cui, secondo me, si dovrebbe fondare questo cammino di conversione: la Parola, la povertà, l'attenzione verso il mondo.

Nulla sapremmo di Dio, se non si fosse rivelato a noi per mezzo della Parola, scritta nel testo sacro e incarnata in Cristo. La Parola rimane il veicolo fondamentale attraverso cui possiamo accedere a Dio, una Parola che ha voluto mettere la tenda in mezzo a noi, ha voluto farsi storia, vicenda esistenziale, racconto di vita, ha voluto diventare Persona visibile, discesa nel mondo dal seno della Trinità. I cristiani sono chiamati a un'incarnazione quotidiana di questa Parola incarnata.

Per fare questo, oggi come ieri, oggi più di ieri, occorre rendere concreta la povertà. Non solo perché viviamo in tempi di crisi economica. Dobbiamo avere uno sguardo lungo, rivolto ai prossimi trent'anni quando la Chiesa sarà ulteriormente ridotta in termini di vocazioni, di fedeli e di potere. Stringe il cuore nel vedere edifici che pullulavano di sacerdoti essere ridotti a vestigia silenziose dei tempi andati oppure fa radicalmente riflettere osservare conventi e monasteri ormai vuoti, simili a castelli medievali meta di turisti. Le parrocchie sono senza prete e le chiese dominate da capelli bianchi e da persone che tra qualche anno non ci saranno più. Cosa faremo delle chiese vuote e degli oratori abbandonati?

Negli scorsi giorni il vicario Tisi ha parlato della possibilità di aprire questi spazi ai poveri. Buonissima idea a cui si potrebbe aggiungere la riforma di Isa, la finanziaria della Curia. Una povertà esteriore significa anche trasparenza, condivisione, fraternità. Questo dovrebbe caratterizzare le nostre comunità. A Roma come a Trento. La condivisione del potere significa collegialità nelle decisioni, la fraternità è un passo ulteriore all'ecumenismo, la trasparenza implica umiltà, fiducia negli altri e in Dio. Beati i poveri di spirito… coloro che serenamente guardano al futuro sapendo di essere nelle mani di Dio. "Non sta a te compiere l'opera, ma non puoi nemmeno sottrartene ", afferma un detto rabbinico. Papa Benedetto ci ha dato la lezione della vera povertà evangelica.

Lasciare gli orpelli del potere mondano non vuol dire vendere la Cappella Sistina, quanto invece riuscire a relazionarsi in maniera nuova con il prossimo, lasciando stare ogni pretesa di verità assoluta. Questo non è relativismo, è seguire Cristo. Lui, che era l'incarnazione della Verità, non ha imposto nulla, si è fatto peccato agli occhi del mondo per riconciliare il mondo con Dio, si è lasciato umiliare, deridere, abbandonare anche dai suoi pur di portare a termine la sua missione, quella di annunciare con la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione una Verità diversa anche la quella professata dagli uomini più religiosi. La buona novella di Cristo è l'annuncio di un perdono che precede ogni pentimento, di una riconciliazione con il Padre già avvenuta prima di ogni nostro ravvedimento, di un amore sconfinato, di una verità più profonda di ogni verità di questo mondo perché fondata sulla libertà.

Annunciare una parola di povertà e di riconciliazione: ecco cosa potrebbe fare il nuovo Papa. In fondo tuttavia è quello che dovremo fare quotidianamente anche noi, in famiglia, nella nostra comunità, ovunque ci porta alla vita.

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