Una nuova spiritualità della montagna?

La salvaguardia del creato è un dovere morale cogente per il cristiano

Sempre di più le nostre montagne si popolano di turisti internazionali, provenienti da paesi impensabili fino a ieri. Polonia, Russia ma anche stati arabi, Cina e Giappone. Le Universiadi ne hanno data concreta testimonianza. Così come la Marcialonga. Non si tratta tuttavia di un fenomeno effimero, soprattutto d’inverno. Tante lingue, tante tradizioni, tanti modi di interpretare la montagna. La risposta a questo flusso non può essere la trasformazione dei caroselli sciistici in Luna Park ad alta quota oppure in centri benessere dove appunto è il consumo a essere al centro dell’attenzione. In parte però le nostre montagne sono già diventate grandi parchi divertimenti. Tuttavia in questi anni sta emergendo anche un nuovo modo di fare turismo, attento alla sostenibilità e alla ricerca di un equilibrio tra lo sviluppo economico (che, volenti o nolenti, deve rispondere pure alle logiche del marketing) e la salvaguardia di un ambiente che occorre consegnare alle future generazioni il meno degradato possibile.

Occorre forse una nuova spiritualità della montagna? Una sensibilità capace di recuperare un senso antico di appartenenza, quasi di simbiosi con il paesaggio alpino? Saranno i nuovi ospiti a portare le loro istanze oppure tutto verrà omologato alle peggiori tendenze globali incentrate sulla cultura dello spreco? Domande difficili che a volte cadono nella retorica oppure che sono vittima di un esagerato pessimismo. Molto spesso in questi ultimi anni la diocesi di Trento (insieme con quella di Bolzano e Bressanone) ha evidenziato la necessità di questa spiritualità, di questo rapporto con la natura che non dovrebbe far differenza tra cattolici e laici, cristiani e appartenenti ad altre religioni, tra scienziati ed eremiti, tra giovani e vecchi.

Accade sovente però che in questi discorsi abbondi la fascinazione delle belle parole rievocanti tempi andati, forse mai realmente esistiti, ma che pure ci emozionano e ci danno, almeno a livello sentimentale, un senso di armonia perduto. Certamente una passeggiata nel verde o una escursione sulla neve possono riscaldare il cuore e offrire sensazioni capaci di far percepire, quasi sempre per soli pochi attimi, una dimensione ulteriore della vita e della realtà. Tradurre queste percezioni momentanee in durevoli concrete azioni in grado di cambiare la nostra società è un altro discorso, molto più complesso. Sembra quasi che alla fine tutti debbano fare i propri conti in tasca e che per la poesia della montagna ci sia davvero poco posto. Allora si va avanti, aggiustando il tiro, ma sempre sulla stessa linea.

Cosa fare dunque? La Chiesa sta recuperando velocemente il tempo perduto (non si dava in passato molta importanza all’ambiente) e con documenti papali e magisteriali coraggiosi quanto sconosciuti impone la salvaguardia del creato come un dovere morale cogente per il cristiano. Non possiamo distruggere tutto in nome di un benessere destinato a finire. Non possiamo saccheggiare l’ambiente per motivi esclusivamente economici. Per recuperare la spiritualità della montagna è necessario in primo luogo avere una relazione corretta con l’ambiente: ciò significa avere occhi e orecchi attenti al mutarsi della natura che vive accanto a noi. È la madre terra che ci sostenta e ci governa. Come è noto queste non sono parole provenienti da qualche tradizione orientale panteista, ma sono espressioni di San Francesco. Si possono allora trovare linguaggi che uniscono diverse sensibilità, tutte però accomunate dallo stesso bisogno di cambiare paradigma. Non più sfruttamento consumo e spreco, ma crescita armoniosa, conservazione, riutilizzo.

Si scoprirà allora che cercare nuove modalità di relazione con l’ambiente conviene dal punto di vista turistico e economico. Il Trentino, l’identità trentina, non può pensarsi avulsa dal rapporto con la montagna. Da esso dipende il nostro futuro. Investire sulla cultura della montagna, educare noi stessi e le giovani generazioni a questo radicamento alla terra in cui tutti dobbiamo vivere, significa aprirsi a nuovi orizzonti.

Papa Francesco, accanto ai temi della povertà e della misericordia,  insiste sulla condanna della logica perversa che lega lo sfruttamento dell’uomo allo sfruttamento delle risorse ambientali, preda di poteri senza scrupoli. Ecco che la relazione con la natura può essere l’elemento discriminante su cui si determina la nostra vicinanza o meno ai valori evangelici. Per questo non possiamo sottovalutare questo tema.

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