Il delicato rapporto medico-direzione in Rsa

Vita Trentina ha parlato qualche settimana fa di un libro su chi opera nelle case di riposo, come infermieri e Oss, sottolineando il valore del sistema organizzativo. Le chiedo se è più importante il ruolo del medico o del direttore di una Rsa e chi deve decidere gli interventi per gli anziani ospiti.

Il progredire dell’età degli ospiti delle RSA e il loro naturale processo di cedimento fisico determinano dipendenza, incapacità fino alla disabilità che vedono nella loro instabilità clinica e nei problemi legati alla demenza alcuni dei maggiori bisogni assistenziali all'interno di una RSA. A questo riguardo, la realtà ci presenta un quadro ambivalente (trascurando volutamente le cronache di eccessi da risvolto penale): si possono trovare ambienti capace di donare grande sollievo, benessere e rinascita personale ed altri nei quali prevale invece un senso di solitudine e abbandono. All'interno di una stessa struttura possono convivere grandi pessimismi e difficoltà, assieme a grandi passioni ed altruismo. In questo contesto Direzione e Medico non possono che andare avanti di pari passo, all’unisono (dalla mia esperienza emerge invece una dipendenza gerarchica), orientati dal principio di condividere le decisioni e i percorsi, per garantire il massimo di aspettativa, rispetto e qualità della vita degli ospiti. Il loro rapporto assume una dinamica particolare in quanto gli aspetti clinici si devono integrare con ciò che attiene la valorizzazione e la protezione della vita dell’ospite.

Il medico della RSA ha un ruolo primario: deve esercitare al meglio la propria professione sul piano clinico ed essere al contempo capace di gestire mille problemi (tra cui la vigilanza dei rischi) e inevitabili contraddizioni. È una figura centrale, di riferimento per le decisioni di tutti i giorni. Deve saper operare una sintesi tra regole e mansioni da un lato, ma anche motivazioni, preferenze, storie personali di ospiti e di operatori dall'altro. Se però il suo ruolo si riduce alla semplice prescrizione di esami e farmaci, è illusorio che possa dedicare tempo e dedizione ai pazienti. Solo quando agisce nell’ambito dell’equipe, ha tempo ed occasione per sviluppare una relazione con il paziente e con i famigliari. Ad esempio, quando il medico in RSA affronta la terminalità, è fondamentale mantenere rapporti autentici con i familiari, per gestire difficoltà personali, sensi di colpa, abbandoni, eventuali aggressività ingiustificate. Prestigio e competenza del medico sono strumenti utili per mantenere serenità, per far capire che ci sono margini più o meno ampi di intervento. Non si deve infine dimenticare che i risultati per gli ospiti di una RSA, siano essi positivi che negativi, sono conseguenza di una collaborazione e corresponsabilizzazione dell’attività sanitaria nella sua globalità, che comprende quindi anche la sfera organizzativa/amministrativa. Per questo il medico dovrebbe anche essere il riferimento per le decisioni tecniche del consiglio di amministrazione.

Certamente l’aumento delle fragilità (in primis le demenze) degli ospiti di RSA ha richiesto un aumento qualitativo e quantitativo degli operatori. E qui entra in campo la direzione: “il direttore e l’amministrazione hanno pertanto un ruolo fondamentale e insostituibile”. Devono essere garanti  del cambiamento  dei  bisogni che in questi anni hanno vissuto le RSA. A tale scopo devono “adoperarsi e rendere possibile il coinvolgimento, la formazione continua, la responsabilizzazione del personale, la flessibilità organizzativa e dei ritmi di lavoro e generare la ‘fiducia’ negli operatori” (Mozley C.G. ‘99). La complessità dei bisogni e la necessità di avere un’organizzazione flessibile pongono sfide importanti alle figure di coordinamento delle varie equipe e alla dirigenza (medica ed amministrativa). Ma nuovamente i risultati positivi (partecipazione, miglioramenti funzionali) e negativi (es. contenzione, malnutrizione, sofferenze) in RSA sono legati al livello di collaborazione tra l’attività sanitaria e quella amministrativa.

Infine, per decidere gli interventi e per garantire tutti gli obiettivi di cura che sono menzionati nelle carte dei servizi delle RSA, si deve partire da una conoscenza attenta e puntuale della persona ospite, dei suoi limiti e delle sue potenzialità. L’intera equipe interviene nella valutazione multidimensionale geriatrica, integrata da un’intervista alla persona o al familiare a lui vicino allo scopo di approfondire gli interessi e i desideri dell’ospite, sono gli strumenti per la definizione del progetto assistenziale individuale (PAI, uno per ciascun ospite) che dia senso, valore e significatività alla permanenza in RSA. In accordo con A. Guaita e le “Linee guida di Geriatria” il progetto assistenziale e riabilitativo diventa anche “progetto di vita”, in quanto contempla l'inseme delle azioni concrete, individuali, che mirano a raggiungere la migliore qualità di vita possibile in ogni fase della vita del paziente, in relazione alle capacità residue e al contesto ambientale e relazionale ritenuto idoneo”. In sintesi: fare assieme la cosa giusta per quella persona. Il PAI è lo strumento essenziale del lavoro degli operatori in RSA: permettendo la condivisione della conoscenza dell’ospite e del tipo di cure individualizzate, aumenta la motivazione negli operatori e il lavoro di squadra.

*gerontologo e geriatra

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